Ormai con la campagna vaccinale che continua spedita anche nonostante l’hackeraggio del sito della Regione Lazio e con il 70% della popolazione immunizzata nella Regione, si stanno analizzando quali possono essere le varie reazioni, eventi avversi e gli effetti indesiderati post vaccinazione. In primo luogo, è importante precisare la differenza tra questi tre tipi di avvenimenti. L’evento avverso, come riportato dal sito dell’Aifa, è da ricondursi a “un qualsiasi episodio sfavorevole che si verifica dopo la somministrazione di un farmaco o di un vaccino, ma che non è necessariamente causato dall’assunzione del farmaco o dall’aver ricevuto la vaccinazione”, la reazione avversa è invece considerata una “risposta nociva e non intenzionale a un farmaco o a una vaccinazione per la quale è possibile stabilire una relazione causale con il farmaco o la vaccinazione stessa.”. E infine, si parla di effetto indesiderato quando l’effetto è “non intenzionale connesso alle proprietà del farmaco o del vaccino, che non è necessariamente nocivo ed è stato osservato in un certo numero di persone”.
I primi sintomi e l’accettazione
“Non riesco a respirare, non so più che fare”. E’ stata questa la frase di I., una 23enne di Roma, che ha allertato il medico di famiglia e i genitori della ragazza, ma facciamo un passo indietro. 3 agosto, ore 9:30, I. si sottopone alla seconda dose del vaccino a mRNA Moderna, durante l’anamnesi preliminare sostiene che dopo la prima dose, essendo già lei un soggetto asmatico, ha avuto un leggero peggioramento della sua condizione. “E’ normale, dopo il vaccino alcune condizioni fisiche, se già presenti, tendono a peggiorare, ma poi torna tutto nella norma”, quelle parole l’hanno rassicurata e ha proceduto con la vaccinazione: “E’ un discorso di responsabilità civile e sociale, mi vaccino per proteggere chi non può veramente, come ad esempio mio fratello, ma ormai di collettività non si interessa quasi più nessuno”, ha sostenuto la ragazza. Nel corso della prima notte post Moderna, sono iniziati i primi effetti indesiderati: “Ho vomitato, ho avuto la febbre, mi faceva male tutto, ma si è risolto dopo poco con l’assunzione della tachipirina 1000 come mi era stato consigliato di fare”. Tuttavia, la mattina del 5 agosto, 2 giorni dopo, I. si sveglia con un oppressione al petto: “Sono asmatica, ho avuto molte difficoltà in tal senso negli anni, so distinguere un evento asmatico da altri tipi di respirazione”, difatti, I. essendo un soggetto allergico e asmatico, non si è allarmata molto, e ha assunto 1mg di Bentelan e 4 spruzzi di Forster, ovvero un medicinale che se inalato facilita la respirazione. La preoccupazione della ragazza sale quando, intorno alle ore 12:00 la sua respirazione non sembra migliorare e per questo motivo contatta il medico di famiglia che le prescrive l’assunzione di un ulteriore mg di bentelan – cortisone – e delle analisi precauzionali. Intorno alle ore 14:00., I. non accenna a migliorare, ma non potendo assumere più farmaci “autonomamente”, si reca con la mamma all’ospedale San Carlo di Nancy, dato che in quella giornata la madre avrebbe dovuto svolgere una visita medica. Arrivate, madre e figlia si separano, la madre va alla visita e alla figlia viene indicato il percorso per giungere in pronto soccorso. All’accettazione vengono misurati i parametri quali saturazione e battito cardiaco e vengono fatte delle domande di routine: “Ha allergie a farmaci?”, “No – risponde la ragazza – ma a casa con il saturimetro, avevo 120 battiti a riposo e la saturazione che saliva e scendeva” e di tutta risposta l’addetto all’accettazione risponde con un beffardo “Sei ansiosa eh?” Da quel momento inizia il calvario.
Il calvario al Pronto Soccorso
I. attende nel pronto soccorso, luogo dove, tra le altre cose, il dispencer di amuchina è completamente vuoto. Il suo codice è verde, ma lo scoprirà dopo 3 ore, quando di persona decide di andare a chiedere in quale codice fosse stata classificata. La stessa persona dell’accettazione sostiene che il codice è il verde e che lì hanno “molte persone”, ma la 23enne non voleva passare avanti a nessuno, solamente accertarsi del codice che le era stato assegnato. Dopo 3 ore e mezza alla ragazza, sui palmi delle mani appaiono delle macchie bianche e rosse ma la stessa persona presente all’accettazione, le dice: “ma lei è stata registrata? Comunque io non vedo niente. Sei codice verde e resti verde. Signora, sua figlia respira meglio di me!“, senza neanche una visita. Dopo 10 minuti la madre della ragazza torna in accettazione per accertarsi che la figlia fosse stata registrata vista la precedente domanda fatta poco prima e di tutta risposta l’operatore dichiara: “Signora mi prende in giro?”, e non solo.
L’attesa al Pronto soccorso e la “fuga”
I. non è l’unica che aspetta. In PS c’è un ragazzo che ha necessità di una puntura di antitetanica e del cambio delle bende per una ferita che ormai è al limite della decenza. Lui è stato classificato come codice azzurro e quando dopo 4 ore di attesa chiede spiegazioni dalla stessa persona dell’accettazione viene risposto “Tu non sei sofferente. Se non la smetti chiamo i carabinieri”, come se la sofferenza potesse essere stabilita in base all’espressione facciale del paziente. Le ore passano e dalle 16:00 si arriva alle 20:40 di sera, I. non è stata visitata da nessuno. Mentre aspetta prova a prenotare le analisi per la mattina dopo tramite SSN, ma non riesce perché viene risposto che la prima disponibilità a causa del sistema bloccato è dopo 10 giorni, ma sarebbe eventualmente troppo tardi per scongiurare una possibile embolia polmonare. Alle 20:50, I. parla finalmente con un’infermiera uscita dall’accettazione, spiega la sua situazione e dice di voler andare via e che però le serve il giustificativo medico per l’ufficio della madre. Le viene però risposto che non può essere fatto finché la ragazza non viene visitata.
La “fuga” al Sant’Eugenio
Alle ore 21:10, le due “fuggono” dall’ospedale e si recano nel secondo, al Sant’Eugenio. Lì all’entrata è presente la prima guardia che chiede cosa accade: “Vada dal mio collega e le dica cosa ha”. Alla seconda guardia che presidia il PS racconta la situazione ancora con il braccialetto verde del San Carlo di Nancy. Finalmente entra nella seconda accettazione, non finisce di parlare che l’addetto all’accettazione la fa entrare, le preleva il sangue le fa il tampone precauzionale, cosa che non è stata assolutamente fatta a nessuno al san Carlo di Nancy. I. viene classificata come codice arancione. La gente è tanta, i pazienti ancora di più, ma nessuno viene lasciato indietro. Dopo 2 ore arrivano i risultati delle analisi e I. viene visitata, finalmente, dopo 8 ore in totale, ma solo due di attesa al S. Eugenio. Le analisi sono buone, l’embolia è scongiurata, ma nell’anamnesi è scritto “asma bronchiale”. I. viene dimessa e il suo incubo finisce: “Fortunatamente è andato tutto bene, ma questo grazie agli “angeli” del Sant’ Eugenio, che pure se sotto stress hanno dato la giusta rilevanza a tutti. Sono felice che la difficoltà respiratoria sia stata determinata da un “peggioramento” della situazione asmatica, ma essere presi in giro, minacciati con frasi del tipo “chiamo i carabinieri” o essere scherniti con “sua figlia respira meglio di me”, non si addice assolutamente a un pronto soccorso degno della Capitale, in realtà non si addice proprio a un comportamento civile, o quantomeno umano. Non metto in discussione lo stress degli operatori sanitari, ma nonostante la stanchezza, al Sant’Eugenio mi hanno trattata in modo impeccabile, e non smetterò mai di ringraziarli”.