Un puzzle infinito, le cui tessere vanno incastrate per cercare di capire il disegno criminale che si nasconde dietro i personaggi che negli ultimi anni sono finiti più volte nel mirino di carabinieri, guardia di finanza e polizia. Giri di droga con affari talmente redditizi da far movimentare oltre un milione di euro nel giro di pochi giorni. Con 100 chili di cocaina che venivano smerciati in appena tre mesi. E con il territorio di Torvaianica, Pomezia e Ardea a fare da sfondo.
Da Il Corriere della Città – Dicembre 2020
I collegamenti sono facili da fare
Ancora una volta partiamo dall’omicidio di Selavdi Shehaj. Il suo nome è troppo difficile da pronunciare per gli italiani, quindi lui, albanese di 38 anni, sceglie di farsi chiamare Simone, ma nell’ambiente della malavita, dove si fa rapidamente strada, è conosciuto come “Passerotto”, nonostante i suoi capelli un po’ lunghi e l’aria selvaggia che ricordavano Tarzan, come in effetti qualcun altro lo ha soprannominato perché preferisce le mani (ma anche i calci vanno bene) alle armi.
La sua escalation è rapida e in poco tempo riesce a farsi un nome nella criminalità organizzata: da piccolo pusher diventa un punto di riferimento del litorale romano e, attraverso un giro di “cugini”, organizza lo spaccio sulla spiaggia attraverso i chioschi del litorale da Torvaianica a Tor San Lorenzo. Chili e chili di droga. Gli affari aumentano di anno in anno: inizialmente vengono gestiti da Campo Ascolano, poi, dopo l’arresto dell’agosto del 2017 e i domiciliari, proseguono da Tor San Lorenzo, nell’abitazione a Campo di Carne. Lì dà gli ordini ai “cugini”, che possono muoversi liberamente mentre lui è costretto a casa. Ma quanto a movimenti, in realtà anche lui – durante il periodo dei domiciliari – viene visto tutti i giorni.
L’altra faccia di Simone
Lo confermano gli abitanti del quartiere: Simone girava, presumibilmente perché aveva delle ore che gli erano state concesse quotidianamente dal giudice per andare a fare la spesa, indisturbato per Tor San Lorenzo ed era facile incontrarlo per i bar della zona, muovendosi a bordo della sua grossa bici verde fosforescente. Nell’ultimo periodo si era tagliato i capelli biondi e il pizzetto. Non aveva timore a mostrare quel braccialetto elettronico alla caviglia: se qualcuno lo fissava, lui sorrideva di rimando. Era affabile con chiunque, offriva da bere ed era diventato amico di tutti, nell’anno passato nella zona, tanto che a Tor San Lorenzo lo dipingono come “una bravissima persona, dal cuore d’oro”, che aiutava chi aveva bisogno. “Si è sempre comportato bene”, racconta una persona che vuole restare anonima, “A me non interessava cosa facesse per guadagnarsi da vivere.
Certo, vedevo che aveva il braccialetto alla caviglia, lui stesso una delle prime volte mi aveva detto che era ai domiciliari, ma qui ha sempre dimostrato la massima correttezza con tutti: gentile, affabile, si metteva a disposizione di tutti, sempre con il sorriso. E quando ho saputo che l’avevano ammazzato mi è davvero dispiaciuto tanto, non se lo meritava, perché si faceva volere bene”. Ecco, questa era l’altra faccia di Simone.
Il suo omicidio potrebbe essere scaturito da uno sgarbo: probabilmente potrebbe aver pestato i piedi a qualcuno nel periodo in cui era ai domiciliari – ma controllava comunque lo spaccio di droga sulle spiagge da Torvaianica a Tor San Lorenzo – oppure la vendetta è legata a una vicenda ancora più vecchia e non ancora perdonata. E qui si accendono i riflettori degli investigatori.
Torvaianica, terra da spartire
Ricordate quando i Fragalà dicevano “Torvaianica è cosa nostra, qui comandiamo noi?”. Ebbene, negli ultimi anni le cose non erano proprio così. A partire dal 2018 la famiglia mafiosa siciliana se la doveva vedere, almeno per quanto riguardava lo spaccio di droga, con altri gruppi criminali.
L’equilibrio che fino a quel momento aveva retto benissimo, anche grazie al costante intervento del “paciere” Francesco D’Agati, anziano boss siciliano residente anche lui a Tor San Lorenzo che riusciva a far in modo che le varie componenti mafiose – dalla ‘ndrangheta alla camorra, passando dalla mafia siciliana – potessero convivere spartendosi spazi e affari senza intralciarsi l’un l’altra, si era ormai rotto, complice l’arrivo non solo delle mafie albanesi e slovene, ma anche della volontà da parte di un certo gruppo criminale romano di voler spodestare il predominio dei Fragalà.
Questo gruppo era formato da personaggi come Fabrizio Piscitelli, ucciso a Roma nel parco degli Acquedotti il 7 agosto 2019, in circostanze molto simili a quelle dell’omicidio avvenuto un anno dopo a Torvaianica. Ma ci sono anche persone come Fabrizio Fabietti e i gemelli argentini Emiliano e Nicolas Pasimovich. Piscitelli in passato era entrato in contrasto con Fragalà mentre si trovava in carcere. Ma non solo: il 2 aprile 2016, dopo una lite che vide l’argentino perdente, Emiliano Pasimovich tentò di investire Simone. Successe a Torvaianica, in viale Francia: facendo finta di andarsene, Emiliano salì sulla sua macchina e si allontanò di qualche metro, salvo tornare indietro non appena si accorse che Simone era sul marciapiede.
Pasimovich fece inversione e, puntandolo, cercò di investirlo salendo con l’auto sul marciapiede, non prevedendo la prontezza di riflessi dell’albanese, che fu rapido a schivarlo e ad attraversare la strada, mandando la vettura di Emiliano a schiantarsi contro un palo dalla luce. Ovviamente nessuno denunciò l’episodio, di certo non Simone, che negò tutto ai carabinieri intervenuti a rilevare l’incidente. Queste cose – in quell’ambiente – si risolvevano in altri modi. Ma qual era il motivo della furiosa lite e del conseguente tentato omicidio? Questo è un punto su cui gli investigatori dovranno cercare di fare luce, anche con la morte di Simone la ricostruzione si fa più difficile. In quell’occasione c’era un testimone, che però negò di conoscere Pasimovich o di aver visto qualcosa di utile.
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Da Torvaianica a Tor San Lorenzo passando da Nuova Florida: fiumi di cocaina e hashish
Ma Pasimovic non è solo Emiliano: c’è anche il fratello gemello Nicolas, che ritroviamo in occasione degli arresti effettuati il 4 novembre dalla Guardia di Finanza nell’operazione “Magliana Fenix“, in cui viene smantellata un’organizzazione di narcotrafficanti guidata da Roberto Fittirillo, detto lo “Zio”, ex componente della banda della Magliana.
Come il fratello – arrestato il 13 Ottobre 2017 per traffico internazionale di stupefacenti – anche Nicolas vive a Nuova Florida, ma frequenta Pomezia e Torvaianica (dove viveva fino a qualche anno fa) e gestisce il territorio di Ardea e Tor San Lorenzo, proprio dove si era stabilito Simone da circa un anno, ovvero da quando gli erano stati concessi i domiciliari, dopo l’arresto avvenuto nel 2017.
Prima, infatti, abitava a Torvaianica, nei pressi di Campo Ascolano, con la sua compagna. I territori dei Pasimovich e di Simone sono quindi gli stessi: il litorale da Torvaianica a Tor San Lorenzo. Nicolas Pasimovich, secondo quanto risulta l’operazione “Magliana Fenix”, farebbe parte del gruppo criminale che fa capo a Fittirillo e dove uno dei maggiori referenti era, finché era in vita, Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik. Nicolas, sempre secondo quanto raccolto dagli investigatori, aveva rapporti diretti con Fabrizio Fabietti, il braccio destro di Piscitelli.
È da lui che acquista la cocaina. Gliela consegnano a casa due “corrieri”, Fabrizio Borghi e Daniela Viorica Gerdan. Ma non solo: compra anche partite di hashish, come dimostrano le intercettazioni ambientali degli inquirenti, nonostante le precauzioni degli indagati. Erano le 23:17 quando Fabietti proponeva a Pasimovich alcuni acquisti all’ingrosso.
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Le intercettazioni
«Te ne do 120…te lo mando a casa? Pigliane 90 e poi in caso il giorno dopo lo ripigli…90 a te», riferendosi all’hashish. «Si, mandamene 90», rispondeva Pasimovich. Sempre nella stessa conversazione, Fabietti gli offriva due chili di cocaina col marchio Cars (riproducenti il marchio Saetta McQueen): «Domani mattina…la Cars va bene…dinamite pure la Cars…ne ho 2… domani me la danno dalle quattro alle sei…sì, te la reggo».
E Pasimovich: «Ma ce li hai sicuri? Puoi tenerli fino a dopodomani? Me la reggi sì o no?». C’era poi la cocaina a marchio “Barbie”, che Pasimovich avrebbe acquistato sempre da Fabietti, che gliela propone così “La Barbie uguale?… è identica… solo che cambia il timbro… sì, sì, è lei, hanno fatto le prove, non so quanta ce ne sta, ti dico la verità, però ci sta, perché chi la dà la dà a me: è buona, vero? È identica a quell’altra, ce l’hanno solo loro, la cosa”.
Al termine della conversazione Pasimovich consegnava a Fabietti 24 mila euro e questi gli confermava la consegna. “Hai la Barbie proprio sopra? La bambola? Quanta me ne mandi? 3 o 2 (kg, ndr)? La roba così non ci sta, sono sincero… ora finisce questa e non ci divertiamo più (…) se mi dici che c’è io lavoro, capito? Giovedì? Allora ci vediamo giovedì, ok?”.
Fabietti confermava i due chili e la consegna per il giovedì, confidando a Pasimovich il rapporto privilegiato con Roberto Fittirillo, cioè il fornitore presso il quale si era rifornito di un quantitativo di droga equivalente a 1.650.000 euro in pochi giorni.
Le indagini relative a Magliana Fenix, che hanno portato a 21 arresti, ricostruiscono una rete di trafficanti di droga di notevole calibro e ben organizzato anche sotto il punto di vista tecnologico, visto che si serviva di utenze telefoniche riservate munite di sistemi di criptaggio delle comunicazioni. Alla banda criminale apparteneva anche Fabrizio Piscitelli: Diabolik non andava d’accordo con gli albanesi, anche se inizialmente ci aveva fatto affari, perché a lui e al suo gruppo non andava giù che «organizzandosi autonomamente e applicando dei ricarichi minimi causassero il calo del prezzo della droga sul mercato capitolino» e per questo aveva deciso di allargare il suo raggio di azione, sconfinando nei territori gestiti dagli stranieri, entrando così in rotta con la mafia albanese, come emerge dalla maxi-inchiesta Raccordo Criminale.
In una delle intercettazioni, Fabrizio Fabietti dice: “Ci sono ‘sti albanesi pezzi di merda cornuti che sono, magari muoiono tutti, vengono, lo fanno per mezzo punto (500 euro di guadagno al chilo ndr)… la vanno a prendere loro fuori, se la portano loro, capito come fanno”. Ma queste sono solo alcune delle piste che la Direzione Distrettuale Antimafia di Roma sta seguendo. Ci sono poi alcuni criminali locali, quelli con cui Simone potrebbe aver avuto un conto in sospeso e che adesso sembrano essere “scomparsi” improvvisamente dalla scena. Le indagini della DDA sono a tutto campo, per cercare di capire quali possano essere i collegamenti tra i vari personaggi che ruotano nel territorio e quale possa essere stato il motivo che ha portato al delitto. Solo così si potrà dare un nome e un volto al killer e al suo mandante.
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