Un quadro davvero inquietante, quello che esce dalle 160 pagine di motivazioni della sentenza che vede le prime condanne inerenti al processo legato all’operazione “Equilibri”. Si tratta dell’indagine, svolta dai Carabinieri del Ros, che nel giugno del 2019 ha portato all’arresto di numerosi componenti del clan Fragalà, che – come confermato ora anche dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma, Claudio Carini – è una vera e propria organizzazione mafiosa. Nei giorni scorsi sono infatti uscite le motivazioni delle sentenze per i primi 6 imputati, quelli cha hanno scelto di farsi giudicare con rito abbreviato per avere lo sconto di pena: sono stati inflitte condanne per un totale che supera i 53 anni di carcere.
Ecco le sentenze: Vincenzo D’Angelo a 14 anni di reclusione e 44.000 euro di multa, Emiddio Coppola a 10 anni di reclusione e 40.000 euro di multa, Renato Islami a 8 anni di carcere e 4 mesi e a 32 mila euro di multa, Francesco Loria a 7 anni di reclusione e 4 mesi di reclusione e a 10 mila euro di multa, Enrik Memaj a 7 anni di reclusione e a 28 mila euro di multa, Manolo Mazzoni a 7 anni di reclusione e 24 mila euro di carcere. Prosciolto il romano Luciano Marianera, in quanto già giudicato per gli stessi fatti e assolto l’imputato Karim Pascal Reguig. Gli imputati, a vario titolo, ruotavano nel clan dei Fragalà, un’associazione mafiosa che agiva “nel tradizionale settore delle estorsioni ma anche in altri campi di azione quali il traffico di stupefacenti”.
I Fragalà riuscivano addirittura “a taglieggiare gli spacciatori della zona, pretendendo l’importo settimanale di 1.500 euro ciascuno a titolo di protezione. Inoltre, imponevano loro la fornitura di cocaina affinché la spacciassero”. “ll gruppo il gruppo costituito – si legge nel documento del tribunale – intraprese un’attività di recupero crediti: in altri termini se qualcuno doveva soldi ad altri, loro estorcevano il pagamento richiedendo la metà del credito alla persona per conto della quale avevano agito, per poi dividere l’importo tra loro”.
Il giudice ha quindi riconosciuto “l’esistenza di un’associazione criminale imperniata sul clan Fragalà”, che non esitava ad allearsi con altre famiglie criminali come i Loria (“La famiglia Fragalà e la famiglia Loria si allearono attraverso i loro esponenti apicali ovvero da un lato il medesimo collaboratore Fragalà Sante d’altro lato Loria Gaetano quando entrambi erano detenuti a Rebibbia reparto alta sicurezza nel 2011”), sottolineando che “tutti i delitti sono stati commessi facendo valere la forza notoria nell’ambiente circostante e nel territorio di riferimento del vincolo associativo mafioso sui poggia la famiglia Fragalà, strumento di intimidazione usato per impaurire le persone offese, scoraggiandole dall’intraprendere qualunque iniziativa oppositiva e indurle a rassegnarsi all’acquiescenza, ma anche per intimidire i possibili rivali, i quali sanno di doversi preparare se vogliono resistere a un duro scontro e quasi sempre accettano con favore o addirittura auspicano l’intermediazione di personaggi influenti che garantiscano una pacifica soluzione dei conflitti”.
Il giuramento di mafia
A riscontro del ruolo di padrino assunto da Loria Gaetano nei confronti di Sante Fragalà – si legge ancora nei documenti ufficiali – è stata acquisita una cartolina inviata a quest’ultimo da Francesco Loria, nella quale Loria lo chiamò “fratello” augurandosi di vederlo presto in ragione di un suo imminente trasferimento a Rebibbia. A riscontro dell’affiliazione mafiosa di Salvatore Fragalà, a casa dei suoi genitori è stato trovato un documento manoscritto al cui interno una formula rituale di affiliazione a un sodalizio mafioso di origini catanesi, che riportava queste frasi: “Sette cavaglieri di mafia si riunivano nella fortezza a Catania e fecero un giuramento di sangue e lo depositarono in una damigella fina e finissima e lo nascosero nella fortezza guai chi lo scoprirà: da una a sette coltellate alla schiena verrà colpito”. Il documento riporta una cerimonia volta a conferire, attraverso un giuramento di fedeltà, lo status di mafioso (un nuovo mafioso è tra noi) a un “giovane onorato” passato al rango superiore di “picciotto e mafioso”: “giura di dividere centesimo per millesimo a questa società e guai se porterà, infamità sarò a discarico della società e a carico del compare, a questo punto faccio il giuramento di sangue, bacio la fronte a tutti i componenti di cui sono presenti…”Nella formula la funzione di officiante è attribuita a Salvatore Fragalà: “Battezzo questo locale come lo battezza Salvatore Fragalà, la scimmia”. Lo pseudonimo scimmia è auto attribuito da Fragalà in una cartolina inviata dal fratello Sante da Catania il 13 gennaio 2007 firmata “tuo fratello Turi la scimmia”
Le alleanze
I rapporti di “amicizia” non sono solo con i Loria. I Fragalà, secondo la ricostruzione degli inquirenti, avrebbero avuto rapporti sia con la mafia siciliana dei Santapaola e dei Capello che con la camorra napoletana dei Casalesi, oltre che con i Fasciani di Ostia e i Casamonica di Roma. Emergono nuovamente inoltre i rapporti con Fabrizio Fabietti, braccio destro di Roberto Fittirillo, ex componente della Banda della Magliana e boss incontrastato dello spaccio di droga a Roma (era lui che riforniva anche Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik). Il tutto, ovviamente, facendosi rispettare (“Qui comandiamo noi”). A capo dell’organizzazione il 61enne Alessandro Fragalà, il nipote 41enne Salvatore Fragalà e il 61enne Santo D’Agata.
Le condanne
Tra gli imputati, ad avere la condanna più pesante è Vincenzo D’Angelo, che i giudici riconoscono come “factotum di Salvatore Fragalà”. 14 gli anni di carcere che gli sono stati inflitti, nonostante lo sconto di pena previsto dal rito abbreviato. È lui che partecipa in prima persona “nella consumazione di reati di estorsione e di traffico di sostanze stupefacenti e svolge altresì funzioni di raccordo con la mafia catanese”. “Riconosciuta la natura di associazione criminale mafiosa del clan Fragalà (capo 1) per tutti gli altri reati oggetto del presente giudizio è contestata l’aggravante dell’art 416bis 1 cp”, si legge al termine delle 160 pagine della motivazione della sentenza. All’uscita dal carcere, lo aspettano altri 3 anni di libertà vigilata. Pesante anche la condanna per Emiddio Coppola: 10 anni di carcere e due di libertà di vigilata, mentre di poco inferiore (8 anni e 4 mesi di carcere più due anni di libertà di vigilata) per Renato Islami. Sono tre gli imputati che hanno avuto anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici: si tratta di Francesco Loria, Manolo Mazzoni e Enrik Memaj.