E’ passato poco più di un anno dall’inizio della pandemia. Una pandemia che ha messo in ginocchio tutto il mondo. Una pandemia che ha portato via cari, affetti, parenti e amici. Una pandemia che, inoltre, ha fatto perdere la speranza a molti, moltissimi giovani. E mentre il mondo è concentrato a trovare la soluzione magica per risanare l’economia nazionale, sempre più ragazzi restano in silenzio e subiscono, senza proferire parola. Il motivo? Quando e se dovessero decidere di farlo, verrebbero additati come “deboli”, “rompiscatole” o, peggio ancora, “viziati“.
Quando il confronto è troppo grande
Spesso quando si cresce, si tende a dimenticare come si pensava quando si era giovani, quando si avevano vent’anni, le speranze erano tante e le possibilità ancora di più. Ora, con la pandemia, molti ragazzi hanno perso la speranza. Chiusi in casa, si sentono soli e devono fare i conti con il loro “Io“, e molti, purtroppo, non reggono il confronto. Difatti, negli ultimi 365 giorni il tasso dei suicidi è aumentato del 30%.
Noi del “Corriere della Città”, vogliamo dare la possibilità, a questi ragazzi, di far sentire la propria voce. Lo spazio a loro dedicato si chiama “Dillo qui”. Uno spazio dove giovani, ragazzi, studenti e studentesse, hanno la possibilità di sfogarsi, aprirsi e far sentire la propria voce senza essere giudicati.
La lettera di F.
Questa è la storia di F., una ragazza di 20 anni, la quale ha avuto il coraggio di aprirsi con noi. Speriamo che le sue parole possano farvi riflettere.
“Sono stanca.
Ho 20 e ho perso 13 mesi importanti. Non ho vissuto l’ultimo giorno di scuola e il brivido dell’ultima campanella. È iniziato tutto piano piano. Siamo stati i primi e chissà se saremo gli ultimi ad uscirne. Sono stanca perché non vedo gente pronta a sacrificarsi a stare in casa qualche tempo in più per poi tornare liberi. Forse prima lo saremmo stati, ma ora no. Ci hanno chiusi e poi illusi con le aperture. Ora abbiamo sete di libertà. Ci avete lasciati liberi troppo presto. Chiusi, poi liberi, poi di nuovo chiusi, e ora chissà…Sono stanca.
A casa non riesco a starci perché non ci sto bene, non riesco a fare nulla, non sono motivata e le cose da fare si moltiplicano. Le lezioni universitarie le “seguo” mentre faccio le pulizie, cucino… e così non ci capisco niente e sono costretta a sentirmele registrate, ma pochi professori registrano le proprie lezioni. Voglio vedere la città universitaria. Anche se a turni potevamo andare, è un viaggio quasi insostenibile quello di chi vive a più di 50 km di distanza. Mezzi pubblici pieni, gente che non rispetta le regole. E così siamo sacrificati a seguire da remoto per poter tutelare i nostri cari. Sono stanca perché non riesco a stare 18 ore davanti ad un maledetto computer, a me piacciono i boschi, il vento che scompiglia i capelli, il rumore delle foglie, la pace delle montagne, le margherite dei parchi…
Sono stanca. La notte non dormo più, ho perennemente gli occhi rossi, le occhiaie. Mi dicono che devo sacrificarmi, che devo prendermi cura della famiglia, così limito le mie uscite al minimo, lo stretto necessario, mentre i miei coetanei si divertono, seguono le lezioni all’università…
Sono arrabbiata. Mi dicono che non so sacrificarmi e che la mia generazione non avrà futuro se non dimostra di essere responsabile…
Sono stanca e arrabbiata. Urlo. Piango. Batto i pugni sui muri. Di notte soffoco i pianti nel cuscino. Voglio uscirne. Odiavo gli abbracci. Ora vorrei solo uscire e abbracciare le persone. Vorrei che tutto finisse. Vorrei conoscere gente. Vorrei viaggiare. Vorrei tornare a vivere. Ora sopravvivo, nella speranza di poter tornare a vivere. Come prima. Anzi, più di prima”.
Se vuoi far sentire la tua voce scrivi a dilloqui087@gmail.com