Sempre più spesso sentiamo parlare di intelligenza artificiale, di computer in grado di creare opere d’arte o di riconoscere immagini, di automobili che guidano da sole e di telecamere capaci di identificare le persone e catalogare le loro emozioni. Ma cosa c’è di vero dietro a tutto questo? I computer sono realmente in grado di pensare o di provare sentimenti? Riusciranno mai ad eguagliare le nostre capacità di ragionamento?
La nostra visione delle intelligenze artificiali è necessariamente determinata – e per certi versi viziata e limitata – da decenni di esposizione a innumerevoli produzioni cinematografiche e letterarie, spesso di stampo apocalittico o comunque caratterizzate da computer determinati a distruggere la specie umana.
Nella realtà dei fatti le cose sono molto differenti, risultando paradossalmente e allo stesso tempo più semplici e più complesse di quello che immaginiamo. Più semplici, perchè oggi siamo ben lontani dalle superintelligenze che siamo abituati a vedere nei film. Più complicate,perchè lo sviluppo di una intelligenza artificiale si porta dietro una miriade di implicazioni tecniche, logiche, matematiche, etiche e filosofiche. Implicazioni che, peraltro, facciamo ancora una gran fatica a delineare.
Che cosa è l’intelligenza?
Prima di definire quella artificiale, è il caso di definire l’intelligenza così come siamo abituati a conoscerla. A ben pensarci, non è poi così facile tirar fuori una definizione così, su due piedi, di una cosa all’apparenza tanto scontata. E difatti la definizione di intelligenza varia molto in funzione di chi prova a delinearla: uno psicologo, un medico, un informatico, un filosofo. Per semplificare, si potrebbe dire che l’intelligenza è la capacità di risolvere i problemi in situazioni molto diverse tra loro. Detto in altre parole, non è sufficiente essere estremamente bravi in una cosa sola: bisogna potersi adattare a condizioni ambientali e situazionali inusuali.
L’intelligenza artificiale ristretta
Nel caso di forme artificiali, le cose si fanno molto più complesse. Il primo elemento riguarda proprio la definizione resa poco sopra: per poter definire una macchina “intelligente” è necessario che questa sia in grado di risolvere dei problemi. Problemi che, ad oggi, appartengono a noi, e non alla macchina. Questo rende tutte le intelligenze artificiali attualmente esistenti dei meri strumenti dell’uomo, create e progettate per aiutarci a risolvere questioni e problematiche “umane”.
Ciascuno di questi complessi strumenti, ad oggi, è in grado di risolvere un numero estremamente ristretto di problemi, non di rado uno solo, in condizioni stabili e con variabili note. Si tratta, appunto, di intelligenze artificiali ristrette: fanno una cosa sola, per quanto molto bene. Ad esempio, un’intelligenza artificiale progettata per giocare a scacchi, per quanto sarà imbattibile a questo gioco, non saprà fare altro: non possiamo utilizzarla per giocare a dama o ad un qualunque altro gioco da tavolo. Una cosa sola, ma fatta molto bene o velocemente. I ben noti servizi Siri, Alexa e Google Home rappresentano esempi di intelligenza artificiale ristretta.
Intelligenza artificiale generale
Immaginando di combinare tra loro intelligenze ristrette molto diverse, ciascuna con le proprie abilità e competenze, quello che si ottiene è una macchina capaci di risolvere un grande numero di problemi anche molto diversi tra loro. Un’intelligenza di questo tipo, soprattutto se in grado di imparare dai propri errori e di apprendere nuove competenze (o riadattare quel che già conosce da ambiti diversi) potrà essere definita generale. Essa sarà in grado di assorbire, elaborare ed apprendere una sconfinata quantità di informazioni e abilità in autonomia: in questo essa somiglierà molto al nostro cervello, che può essere considerata a tutti gli effetti una macchina biologica in grado di apprendere e migliorarsi. Ed è proprio dal nostro cervello e dai suoi studiosi – dai neurologi ai neuroscienziati – che dovremo partire per poter sviluppare un modello artificiale di capacità logica e ragionamento..
Una siffatta intelligenza tuttavia, sarà caratterizzata da un’elevata imprevedibilità: se è davvero in grado di comprendere quasi tutto, quanto sarà disposta a lavorare per noi? Quanto sarà in grado di dedicare parte delle proprie risorse a risolvere problemi “umani”? Questo tipo di intelligenze viene spesso definito “oracolo”, in quanto sarà presumibilmente in grado di dare una risposta a qualunque quesito o problema umano.
Il fatto è che, ad oggi, la risposta a tutte queste domande non esiste o è ancora ben poco definita.
Siamo ancora molto, molto lontani da un’intelligenza generale, ma già da oggi cominciano a delinearsi i contorni di quello che rappresenterà un punto di non ritorno. Un punto nel tempo superato il quale l’intelligenza artificiale sarà in grado di programmarsi e migliorarsi in completa autonomia, un momento in cui l’uomo rappresenterà un ostacolo alla crescita e allo sviluppo di queste macchine pensanti.
Dovremmo aver paura?
Al momento è presto per aver paura, ma è comunque il caso di cominciare a riflettere seriamente su molte questioni etiche e filosofiche, perchè le cose potrebbero sfuggirci di mano molto rapidamente, e a quel punto potremmo non avere il tempo per poter reagire.
Sarà dunque fondamentale progettare ed educare – proprio come si farebbe come un bambino– le intelligenze artificiali, fin da subito, con i valori morali e con i limiti etici tipici dell’uomo.