Torna l’appuntamento settimanale con i racconti di Nicola Genovese, autore del libro “Il figlio del prete e la zammara”. Stavolta alla fantasia si mescola la realtà, ricordi di un’amicizia nata da ragazzi e rimasta nel cuore nonostante il tempo e la distanza.
Ma ecco il suo racconto.
Ennio aveva trascorso molti anni a Firenze in un collegio militare. Aveva frequentato le Medie e poi l’Istituto Tecnico Industriale a La Spezia, con Bruno, uno dei suoi più cari amici.
Con lui aveva diviso tutto: la camerata, la libera uscita e i problemi di salute e di cuore. Erano inseparabili.
Dopo il diploma le loro strade si erano divise.
Bruno era tornato a Cagliari, sua città nativa, mentre Ennio a Roma.
I primi tempi si telefonavano spesso.
Poi le chiamate si erano diradate fino a cessare del tutto.
Ennio si era arruolato in Aeronautica.
Dopo il corso ufficiali era stato trasferito in diverse città del sud. Erano trascorsi molti anni e finalmente era ritornato a casa nella sua Roma, che tanto gli era mancata.
Era scapolo e amava la bella vita.
Gli avevano assegnato un incarico presso il Ministero dell’Aeronautica con il grado di Colonnello.
Bruno invece aveva trovato lavoro in una società petrolifera ed era stato inviato in Libia.
Rientrato a Cagliari, viveva con l’anziana mamma.
Attraverso dei vecchi amici, erano riusciti ad avere i numeri di telefono uno dell’altro.
Finalmente si erano risentiti. Erano felici e non vedevano l’ora di rincontrarsi.
Ennio aveva invitato Bruno a Roma per trascorrere qualche giorno insieme.
L’amico aveva subito risposto di sì.
Gli aveva comunicato che sarebbe arrivato alla Stazione Termini il sabato seguente alle 11:00, con il diretto proveniente da Civitavecchia.
Ennio lo aspettava al settimo binario.
Era giunto con mezz’ora di anticipo. Camminava su e giù lungo la banchina che costeggiava il binario numero 7.
Era impaziente. Guardava continuamente l’orologio. Poi controllava il quadro luminoso degli arrivi per vedere se il treno portava ritardo.
Ricordava quando, da ragazzi, alla stazione di S. Maria Novella di Firenze attendevano ansiosi il treno che li doveva riportare a casa per le vacanze natalizie.
Tanti ricordi gli affollavano la mente. Tra sé pensava: ”Chissà se mi riconoscerà?”
Era stempiato e di questo incolpava il cappello che doveva sempre portare quando era in divisa. Lungo il collo s’intravedeva qualche piccola ruga. “Segni di tante esperienze…!!”, era solito dire con gli amici. Il suo fisico era asciutto: alto e dall’aspetto atletico. Aveva praticato sin da ragazzo la pallacanestro e ogni mattina faceva la una corsetta di quattro chilometri.
Ci teneva all’eleganza. Nell’occasione aveva indossato un paio di pantaloni chiari, con maglione blu dolce vita e una giacca a quadretti. Finalmente vide in fondo il treno che avanzava lentamente verso la banchina.
Si avvicinò, guardando tutti i vagoni nella speranza di scorgerlo.
Per vedere meglio, ogni tanto saltellava davanti ai finestrini.
Dopo un po’ sentì una voce inconfondibile che chiamava: “Ennio…Ennio!!”
Era quella di Bruno.
L’amico scese dal treno e i due si strinsero in un lunghissimo abbraccio, come a ripagarsi dei lunghi anni che erano stati lontani.
Subito dopo si scostarono per guardarsi meglio.
Bruno era vestito con un paio di blu jeans, camicia celeste e giacchetta di pelle.
Rivolto all’amico disse: ”Non sei per niente cambiato. Ti mantieni in gran forma. La vita militare ti fa bene”.
Ennio, che era sempre stato schietto e diretto, rispose: ”Tu invece sei cambiato. Se non fosse stato per la tua voce, non ti avrei riconosciuto. Hai perso i tuoi bei capelli neri che invidiavo, e hai messo su pancetta. Eri già basso, ma adesso lo sembri ancora di più. Non fai sport? Una volta giocavi bene al calcio ed eri anche veloce. Quando avevi la palla al piede, nessuno ti stava dietro: dritto e veloce come un fulmine arrivavi in porta. Non sempre era goal, ma spesso sì”.
“Sei sempre la solita linguaccia – rispose Bruno – sono queste sono le parole di accoglienza per un amico che non vedi da venti anni? Ma come sempre non me la prendo. Sono troppo felice per arrabbiarmi. E comunque hai ragione, amico mio. Sono cambiato. Il caldo africano e l’alimentazione piena di grassi mi hanno trasformato. I chili che ho messo mi pesano e mi fanno male. Purtroppo lavoravo su una piattaforma petrolifera al largo di Tripoli e non potevo giocare al calcio. I turni massacranti mi lasciavano ben poco tempo anche per fare un po’ di ginnastica sul ponte. Adesso che sono ritornato a casa voglio rimettermi. E’ necessario che dimagrisca, non tanto per l’estetica, ma per la salute”.
Così discutendo, tra una battuta e l’altra uscirono dalla stazione e arrivarono a casa di Ennio.
Bruno sistemò i suoi pochi indumenti nella stanza degli ospiti, dove alle pareti erano appese moltissime foto che avevano fatto insieme ai tempi del collegio.
Ricordi indelebili degli anni trascorsi a Firenze e Cadimare.
Era l’ora di pranzo e si recarono a mangiare in un ristorante vicino a casa.
Il pomeriggio andarono in giro per Roma.
La sera Ennio aveva organizzato una rimpatriata con alcuni ex compagni di collegio.
Cenarono in una tipica trattoria romana, dove cucinavano degli spaghetti “cacio e pepe” da sogno. Piacevano tanto a Bruno, che apprezzò il pensiero dell’amico. Ricordarono che anche Lucio il Bresciano andava pazzo per quel piatto.
La serata trascorse allegramente tra ricordi e risate.
Giunse il giorno del ritorno a Cagliari.
Ennio accompagnò l’amico alla Stazione e nel salutarlo gli disse: ”Non aspettiamo ancora altri vent’anni per rivederci… ti aspetto al prossimo raduno degli ex allievi a Cadimare: non mancare!”, e si abbracciarono commossi.
Nicola Genovese
Il romanzo di Nicola Genovese “Il figlio del prete e la zammara” è reperibile su Ibs libri, oppure richiedendolo direttamente all’editore Aulino Tel.3284793977 oppure via e-mail:info@Aulinoeditore.it