I rapporti tra la Turchia e l’Italia si sono fatti più complicati dopo che Draghi, durante la conferenza stampa dell’8 aprile, ha etichettato il presidente turco come “dittatore” – in reazione al suo comportamento nei confronti della presidente della Commissione europea Von der Leyen, rimasta senza sedia nel corso di un incontro bilaterale ad Ankara. Le scuse da parte dell’Italia non sono mai arrivate, ed Erdogan ha definito le parole del premier italiano come di “totale maleducazione”. A complicare la situazione, lo scorso 11 Maggio, la scaramuccia scoppiata tra navi italiane e pescatori turchi, nelle acque a nord di Cipro: sassi e fumogeni hanno colpito l’imbarcazione della marina italiana che stava pattugliando nella zona, come parte dell’operazione Sea Guardian della NATO. La Turchia non è nuova a incursioni nella zona economica esclusiva (ZEE) di Cipro, dopo la scoperta di vaste riserve di gas naturale al largo della costa: per questo, negli ultimi anni, Erdogan ha ricevuto le critiche da parte dell’Unione Europea. È ormai chiaro da tempo infatti che l’ambizione della Turchia è di diventare la prima potenza del Mediterraneo: L’Europa deve tenere alta la guardia, ma soprattutto deve farlo l’Italia, per non essere scalzata in quest’area, cruciale per i suoi interessi.
E in particolare è nel Nord Africa che Draghi deve tenere monitorata la situazione: la politica estera di Erdogan è da molto tempo volta a ottenere una posizione di primo piano anche in Libia. Qui, dopo il rovesciamento nel 2011 del leader di lunga data Moamer Gheddafi, non sono più cessati i conflitti tra fazioni armate che si contendono il controllo del Paese, ricco di petrolio. Ora che le elezioni politiche si stanno avvicinando la Libia potrebbe cambiare finalmente rotta e vivere un’epoca di pace – ma solo se sarà eletto il leader idoneo: Draghi dovrà scommettere sul cavallo giusto, se vuole tornare a essere protagonista in Libia e programmare una politica di medio termine in Africa e nel Mediterraneo. E infatti la prima uscita all’estero del premier neoincaricato Draghi è stata a Tripoli, dove ha incontrato Abdel Hamid Dbeibah, in carica dal 15 marzo scorso con il compito di traghettare il Paese alle elezioni entro il prossimo 25 dicembre. Un tentativo lodevole, anche se nelle prime dichiarazioni pubbliche dopo l’elezione, Dbeibah aveva speso parole di ringraziamento solo per la Turchia, ricordando il ruolo giocato da Ankara durante la guerra civile e prospettando l’intenzione di approfondire le relazioni bilaterali. Le dichiarazioni di Dbeibah – legato da solide relazioni affaristiche ai suoi sponsor anatolici – certificano che il nuovo organismo di governo libico è una creatura della Turchia.
Perché Erdogan sostiene il GNA in Libia
Infatti l’agenda geopolitica di Ankara mira a sostenere i movimenti islamisti affini al suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), e di estendere la sua alleanza regionale con il Qatar in Nord Africa. Prova ne è l’influenza raggiunta da Ankara in Libia dopo il decisivo intervento militare della prima metà dello scorso anno. Il Governo di Accordo Nazionale (GNA) – uno dei contendenti per la leadership della Libia – è da molto tempo sostenuto militarmente e finanziariamente da Istanbul: mercenari siriani pro-Assad pagati dalla Turchia sono stati portati nel Paese, insieme a droni, consiglieri, e sistemi di difesa aerea. Anche Roma in passato aveva appoggiato il partito, ma adesso occorre che Draghi si impegni per la composizione di un governo forte e anti-islamista, capace di porre fine ai tumulti nel Paese.
Ma le ragioni che spingono Erdogan a interessarsi alla Libia non sono solo ideologiche e geopolitiche. Per la Turchia – la cui economia ha subito forti contraccolpi negli ultimi due anni – la Libia rappresenta un’opportunità per guadagni leciti e illeciti. Il denaro sporco della Libia occidentale viene riciclato in Turchia, mentre le imprese turche, soprattutto nell’edilizia, hanno più di 19 miliardi di dollari di contratti in sospeso. E un governo libico compiacente potrebbe assicurare che quei soldi saranno riscossi. Inoltre, a sigillare il legame tra i due Paesi, anche economico, la firma a novembre del 2019 di un Memorandum d’intesa che prevede la costituzione di “aree di giurisdizione marittima” – argomento sul tavolo diplomatico tra i due Paesi da oltre dieci anni. L’istituzione di questo nuovo confine ridisegna i confini marittimi e prevede collaborazioni nello sfruttamento delle risorse marittime, escluse quelle energetiche. All’articolo uno, è prevista una “zona economica speciale”: per la Libia, raggiunge un confine immaginario lungo 34 chilometri, a circa 80 chilometri a sud est dell’isola di Creta e arriva a comprendere le città della costa orientale di Derna e Barnia, che in realtà sono sotto il controllo del Generale Khalifa Haftar.
La fazioni islamiste nel GNA e l’opposizione di Khalifa Haftar
E il comandante militare della Libia orientale Khalifa Haftar – l’altro potere forte della Libia – promette di porsi come baluardo contro l’estremismo islamista. Destano preoccupazione infatti le diverse fazioni che si sono formate all’interno del GNA dalla sua creazione nel 2015, sono fonte di preoccupazione. Mentre la maggioranza dei funzionari eletti sono moderati, esiste una forte minoranza di rappresentanti dei partiti islamisti – tra cui il presidente eletto, Nouri Abusahmain – che minacciano di imporre la Sharia e rimandare di un anno le elezioni. Vani finora i tentativi di Khalifa Haftar di rovesciare il GNA: già nel 2014 ne chiese lo scioglimento, con l’obiettivo di formare una costituzione e un governo attraverso libere elezioni. Nel 2019, Haftar lanciò un’offensiva verso Tripoli, ma fu destinata al fallimento a causa delle forze sostenute dai turchi.
Tuttavia, Haftar controlla di fatto il 70% del territorio – e dunque gran parte dell’industria petrolifera del Paese. Quindi è anche nell’interesse di Draghi coltivare il rapporto con Haftar, essendo l’Italia uno dei maggiori importatori di greggio libico. Tanto più se si considera che la Libia e il Nord Africa sono cruciali per la sicurezza energetica italiana: il gruppo ENI è la più grande azienda straniera in Libia, e il governo italiano vuole garantire che il flusso di petrolio e gas dalla Libia rimanga ininterrotto. Infatti, nonostante le difficili circostanze nel paese, Eni continua a essere il principale produttore internazionale di idrocarburi in Libia, dove ha prodotto 170.000 barili di olio nel 2020.
Draghi dovrebbe far leva sulle vulnerabilità di Erdogan
Cruciale sarà dunque l’esito delle elezioni, da cui dipenderà anche l’influenza turca sulla regione. Gli interessi in gioco sono molti per l’Italia, e Draghi dovrà cogliere ogni opportunità per respingere “l’avanzata” Turca nella regione facendo leva sulle sue debolezze. È vero infatti che la Turchia sta via via diventando una potenza forte e a sé stante, e non più uno stato “cuscinetto” tra due continenti, ma è anche vero che i fronti che ha aperto in politica estera sono molti – dalla Siria al Mediterraneo orientale – e difficili da gestire simultaneamente. Inoltre, la crisi sanitaria ed economica scaturita dalla pandemia ha fatto diminuire il consenso nei confronti di Erdogan, per cui le più grandi città del Paese hanno scelto sindaci dell’opposizione. L’influenza della Turchia avrà meno forza se si insedia un governo forte e anti-islamista, e il governo italiano deve battere il ferro finché è caldo.
E per continuare ad avere un ruolo di primo piano nel Mediterraneo, tenendo a bada Erdogan, il premier italiano Draghi dovrà saper gestire un delicato gioco di equilibri. In fondo, l’Italia non può scomparire dalla Libia: a legare le due sponde del Mediterraneo ci sono interessi reciproci, obiettivi comuni e rapporti culturali radicati nel passato. Il passato non si puòcambiare, il futuro sì.