SIARCO, NUOVA CRISI DEL LAVORO A POMEZIA
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Lavoratori sempre più in crisi, con aziende che chiudono, falliscono, riducono, tagliano o tentano di emigrare. Oggi è la volta dei dipendenti della Siarco, la cui situazione è esplosa in uno sciopero improvviso proprio oggi. I 52 lavoratori dell’azienda di refrigerazione industriale, con sede a Pomezia dal 1968, che vanta collaborazioni a livello ferroviario (con Trenitalia), militare e nelle grandi aziende di Telecomunicazioni, hanno deciso di incrociare le braccia contro quello che ritengono un sopruso della proprietà, che da quasi tre anni denuncia crisi economiche tali da rendere necessario il ricorso alla cassa integrazione. La Siarco, invece, a detta dei lavoratori, vanta commesse milionarie, ed il fatturato è non solo in continua crescita, ma ha una previsione positiva soprattutto in vista della bella stagione. “Fino al 2003 questa società è stata gestita da imprenditori locali, guidati dalla famiglia Sdringola, e non abbiamo mai avuto problemi. Da quando, all’inizio del 2004, la società ha ceduto il 51% delle sue azioni al Gruppo Zanotti, un’azienda di Mantova specializzata in refrigerazione fissa e mobile, le cose per noi sono andate sempre peggiorando a causa di quella che noi riteniamo una cattiva gestione di cassa. Nonostante le numerose commesse – siamo perennemente pieni di lavoro – l’azienda dichiara infatti di essere in crisi. Ma noi possiamo dimostrare che, solo per il periodo marzo-aprile, abbiamo un portafoglio ordini pari a 1 milione e 300 mila euro”. Portafogli che, vista la stagione, può solo migliorare. “L’unico periodo in cui si può avere un leggero calo di ordinativi è quello di inizio inverno, ma così non è stato: il nostro è un comparto in piena attività, ma nonostante questo da ormai 6 mesi non riceviamo più i buoni pasto, i premi di produzione e di risultato sono stati congelati, gli stipendi vengono pagati con notevole ritardo e frazionati, mentre le quote destinate ai fondi, nonostante ci vengano detratte dalla busta paga, pare non vengano versate”. Accuse gravissime. “Che però non possiamo neanche fare – proseguono i dipendenti davanti ai cancelli dello stabilimento di via di Vaccareccia – perché appena qualcuno prova a protestare viene “punito” attraverso la cassa integrazione. A partire dal 2009 ci sono state le prime procedure di cassa integrazione ordinaria, durate due anni. Nel 2011 si è invece passati alla CGIS a rotazione. Ma quello che contestiamo, oltre al fatto che non è vera la crisi economica, è la modalità di scelta del personale da mettere in cassa integrazione a rotazione, che non segue alcuna logica lavorativa od organizzativa. Inoltre, il ricorso agli ammortizzatori sociali non è stato mai concordato con le organizzazioni sindacali”. “Da due mesi – ha aggiunto un impiegato – sono state messe in cassa integrazione 12 persone, di cui 5 addirittura a zero ore, sulle 52 totali: peccato che all’Inps questo non risulti e che nessuna di queste persone sia riuscita a prendere un solo centesimo di stipendio in tutto questo tempo. Si tratta di persone scelte dall’azienda senza alcun criterio valido, senza alcun controllo da parte dei sindacati, che non hanno avuto alcuna possibilità di intervenire. A me, che evidentemente do’ particolarmente fastidio, è stato proposto un trasferimento a Modena, dove ha sede la Zanotti: ma, a giudizio dei miei legali, si tratta di un provvedimento illecito, visto che per i lavoratori con più di 50 anni di età il trasferimento è consentito solo in casi specifici e straordinari. Ma non è questo il caso, tant’è vero che la Regione ha bloccato il provvedimento: eppure, nonostante questo, l’azienda è andata avanti lo stesso con le “proposte” di trasferimento”. Sono in molti a lamentare il clima di terrore che si è creato all’interno dell’azienda. “Chiunque provi a contestare l’operato della direzione o a minacciare uno sciopero, puntualmente viene messo in cassa integrazione. Ma stavolta, tranne i soliti fedelissimi, siamo più o meno tutti compatti: in questo modo non potranno, almeno lo speriamo, colpire tutti. Finora non avevamo mai scioperato per un’intera giornata, con la minaccia di proseguire ad oltranza, per paura di ritrovarci senza lavoro da un giorno all’altro, ma adesso abbiamo deciso di dire basta a questo clima di paura: rivogliamo l’azienda che c’era prima, quella per cui si lavorava e con cui si collaborava, non questa, di cui si deve solo avere timore”. I dipendenti, pur sospendendo la produzione, non hanno bloccato l ‘accesso allo stabilimento da parte di fornitori e clienti. “Non vogliamo creare danni, ma solo riportare un po’ di giustizia nei nostri confronti”, hanno concluso.