Roma. Una vicenda drammatica quella della professoressa Cloe Bianco, morta suicida all’interno della sua roulotte, quella che chiamava la sua ‘piccola casa con le ruote’. L’evento ha creato uno strappo nel tessuto sociale del Paese, suscitando un’ondata di forte indignazione.
Cloe Bianco: presidio al Miur oggi
Per questo oggi, a Roma, davanti il Ministero dell’Istruzione, si sta svolgendo un presidio ‘rumoroso’ di lavoratori, attivisti, studenti e insegnanti non solo per ricordare Cloe, ma anche per chiedere una scuola più inclusiva e accogliente.
Le attiviste di ”Non una di meno”
“In pieno pride month, siamo statə raggiuntə dalla notizia del suicidio di Cloe Bianco, insegnante di fisica discriminata e demansionata nella scuola in cui lavorava perché donna trans – dichiarano le attiviste di Non una di meno, oggi presenti al presidio – Il suicidio di Cloe testimonia ancora una volta che la violenza non è un fatto privato ma strutturale, istituzionale e si riproduce socialmente”.
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La morte nel suo camper
La professoressa Cloe Bianco si era a tolta la vita drammaticamente lo scorso 10 giugno. Il suo corpo lo avevano ritrovato nel piccolo camper dove abitava, completamente carbonizzato a seguito dell’incendio che aveva devastato il mezzo. Una storia che evidenzia tragicamente come la transfobia nel nostro Paese sia dilagante: atteggiamenti discriminatori, ottusi e sprezzanti che, soprattutto quando reiterati nel tempio, possono concludersi in dramma.
Il giorno in cui fece la sua scelta a scuola
All’epoca, la scelta di Cloe scatenò la reazione rabbiosa di alcuni genitori, che si espresso in questo modo: «Ma davvero la scuola si è ridotta così?» La mattina seguente, la professoressa venne direttamente sospesa per tre giorni dall’insegnamento, a causa del suo comportamento ritenuto non «responsabile né corretto» e fu relegata alla segreteria. Cloe perse la possibilità di insegnare e da allora ha iniziato a portare avanti una battaglia per la propria identità di genere e a curare un blog, PERsone TRANSgenere.
L’odio e la chiusura mentale che uccidono
Non si è trattato di un incidente, ma quella che potremmo definire una ”libera morte”, una scelta premeditata e indotta dall’atteggiamento di odio, discriminazione e totale chiusura che, ancora oggi, troppe persone LGBTQ+ continuano a sperimentare sulla propria pelle. Continuamente ripudiati, allontanati, isolati. Spesso dagli stessi parenti che ne decretano essi stessi la fine. Sono persone che, a causa di una società ancora retrograda e di alcune correnti politiche che incitano continuamente all’odio e alla chiusura, si ritrovano sole, senza nessuno su cui contare. Neppure lo Stato.