RADIM: CONTINUA LA PROTESTA, MA DALL’AZIENDA NESSUNA RISPOSTA
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Sono ancora fermi davanti ai cancelli della loro azienda, i dipendenti della Radim di Pomezia che da ieri hanno proclamato lo sciopero ad oltranza ed il presidio fisso in attesa di avere risposte da parte della società russa “Alkor Bio”, in merito agli stipendi arretrati ed alla stabilità del posto di lavoro. La “Alkor Bio” dallo scorso settembre, grazie ad un accordo economico, ha preso le redini della storica azienda pometina che si occupa di realizzazione e alla vendita di kit diagnostici, promettendo un rilancio della produzione che si era fermata a causa degli ingenti debiti della vecchia proprietà, causati soprattutto dai mancati pagamenti da parte dello Stato, di Ospedali ed Aziende sanitarie, e assicurando il mantenimento dei posti di lavoro ai 120 dipendenti. Ma ad oggi, dopo 7 mesi, la situazione è più drammatica ancora: la produzione è praticamente ferma, in quanto non viene acquistata la materia prima. “I fornitori vogliono giustamente essere pagati – spiegano i lavoratori – ma le banche non concedono più fiducia all’azienda. Un circolo vizioso aggravato dal fatto che la nuova azienda sta trasferendo tutta la produzione in Russia, mantenendo qui solo alcune piccole cose sperimentali, che potranno essere in realtà messe in effettiva catena solo dal 2015, e che servono per mantenere una sorta di copertura che garantisca non solo il nome e l’immagine della Radim, ma soprattutto le certificazioni che l’azienda russa non ha e che invece la Radim ha conquistato negli anni grazie alla qualità del suo lavoro. In questo modo passerebbero per italiani kit in realtà prodotti in Russia”. Ieri è stata confermata per altri tre mesi la cassa integrazione per i dipendenti già oggetto degli ammortizzatori sociali, ma questa è l’unica novità, perché nessuno ha risposto all’appello dei lavoratori, che chiedevano risposte da parte dei vertici aziendali. “Loro sono tornati in Russia, lasciando qui solo un Amministratore che è più simbolico che altro”. Intanto, all’interno dello stabilimento è tutto fermo, le macchine più importanti imballate. Mancano addirittura i tovaglioli di carta per asciugarsi le mani, perché ormai non si riesce a fare nessun acquisto. “Siamo disperati. Oltre alle mensilità mancanti, abbiamo anche due anni di ferie arretrate che non ci verranno mai pagate e, se va avanti così, temiamo di ritrovarci in mezzo ad una strada senza nessuna tutela. Ma possibile che lo Stato permetta che società straniere acquistino aziende italiane per poi farle morire così e portare la nostra storia e ricchezza in altri Paesi?”.