Ha dell’incredibile – per non dire dell’indecente e del disumano – quanto accaduto martedì 4 ottobre a Pomezia a un ragazzino di appena 13 anni.
Valerio (nome di fantasia) ha 13 anni e frequenta la II media all’Istituto Comprensivo Statale “Via Della Tecnica” di Pomezia, da tutti conosciuto come “Scuola Marone”.
È un ragazzo con problemi: non parla, ha una disabilità – non schematizzata dagli specialisti – che lo rende diverso dai suoi coetanei. È intelligente e sensibile, ma non autonomo, e il suo problema rende necessaria la presenza di un insegnante di sostegno, oltre che di un assistente messo a disposizione dalla Socio Sanitaria di Pomezia a lui dedicato.
Lo conoscono tutti, a scuola: i compagni di classe lo amano e fanno di tutto per farlo sentire uguale a loro.
Ma tutto questo affetto ieri è stato “macchiato” da un episodio vergognoso. Vergognoso non per Valerio, ma per quanto lo ha reso possibile.
“Prima di mezzogiorno – racconta la mamma di Valerio, Stefania (anche questo un nome di fantasia per tutelare i protagonisti) – mi hanno chiamata da scuola per dirmi che mio figlio, inaspettatamente, si era sporcato. È una cosa che, malgrado la sua disabilità, non succede praticamente mai ma, proprio per prevenirla, il ragazzo ha a disposizione dei cambi”.
Valerio, per motivi probabilmente di natura psicologica che approfondiremo in seguito, non si trattiene e defeca in classe. Invece di portarlo in bagno, lavarlo e cambiarlo – cosa che non si capisce a chi dovrebbe spettare per legge, visto che non pare essere compito né dell’insegnante di sostegno, né dell’assistente scolastico dedicato, né tantomeno degli altri assistenti scolastici – il ragazzino resta così, sporco delle sue stesse feci.
Parte la telefonata per avvisare la mamma, che in quel momento si trova al lavoro.
“Ho chiesto di parlare con l’assistente di Valerio, domandando anche se avevano il cambio e se ci fossero problemi, visto che mi stavano avvisando: le rarissime volte che questa cosa era successa negli anni passati non mi avevano mai chiamata, ma lì a scuola avevano provveduto a lavarlo e cambiarlo. Quando ho chiesto se c’era la necessità che qualcuno andasse a prendere immediatamente mio figlio o se potevano risolvere da scuola, non hanno dato una risposta diretta, ma mi è stato detto che mi avrebbero fatto sapere. Ho aspettato circa un’ora, durante la quale non ho avuto notizie. Ho quindi chiamato io la scuola per sapere se fosse tutto a posto, ma l’operatrice scolastica non sapeva praticamente nulla. Ho allora chiesto di essere chiamata immediatamente dall’assistente di Valerio, ma anche questa volta non sono stata accontentata”.
Ormai si è fatta quasi l’una, ora di uscita da scuola: il nonno va a prendere Valerio e lo trova tutto sporco. Pantaloni, abbigliamento intimo, calzini e scarpe sono ancora pieni di feci. Il bimbo ha lo sguardo terrorizzato e, al contempo, mortificato.
“Mio padre è anziano, non ha avuto la prontezza di riflessi di fare niente e si è accontentato del fatto che gli avessero detto che il bimbo era in quelle condizioni perché non c’era nessuno che lo poteva cambiare. Ha quindi portato il ragazzo a casa, per poi raccontarmi telefonicamente quello che stava succedendo. Io mi sono infuriata: ho chiamato la scuola pretendendo spiegazioni”.
Ma a scuola, misteriosamente, non c’era nessun “responsabile”, da quanto riportato dall’operatrice scolastica che ha preso la telefonata.
“Ci ho pensato su qualche minuto – prosegue Stefania – poi ho ripreso il telefono e ho richiamato la scuola, minacciando che, se non mi avessero passato qualcuno, avrei fatto chiamare dai carabinieri. ‘Signora, addirittura i carabinieri’, mi ha risposto l’operatrice, che però dopo pochi istanti mi ha passato un responsabile, che ha tentato di ridimensionare l’accaduto adducendo scuse improbabili, che non denotavano alcuna sensibilità umana nei confronti di mio figlio”.
Valerio resta tutto il giorno a testa bassa, in un angolino.
“Lui che di solito ride sempre – racconta la mamma – è rimasto sempre con un’espressione triste, da persona umiliata. Si vergognava e io ho sentito una pena infinita per lui. Questa mattina ero ancora infuriata ma impossibilitata ad andare a scuola a causa del lavoro. Così mio marito, il papà di Valerio, si è precipitato a chiedere spiegazioni: non volevamo che questa situazione potesse ripetersi in futuro. E’ stato ricevuto dalla dirigente, che ha riconosciuto l’estrema gravità dell’accaduto, e ha dovuto ammettere che, quando era successo “il fatto”, nonostante fosse stato chiesto se qualcuno volesse provvedere a lavare e cambiare Valerio, non c’erano stati “volontari” e non era possibile obbligare nessuno a farlo. Invece io so che la scuola è tenuta a formare delle persone anche per questo. Non so di chi sia la responsabilità di quanto vi sto raccontando, ma so che queste sono cose che non possono e non devono succedere. Il disagio e il dolore psicologico che è stato arrecato a mio figlio, ma anche a noi familiari, è davvero indescrivibile. A prescindere da cosa dice la legge, possibile che non ci sia un po’ di umanità in queste persone? Pensi che la compagna di banco di mio figlio, che ieri era assente, questa mattina mi ha detto: ‘Se c’ero io, lo pulivo volentieri’. Bene, una ragazzina di 13 anni avrebbe fatto quello che un gruppo di adulti non ha saputo né voluto fare. È vergognoso, inaudito, senza cuore, una cosa così mortificante non si deve fare a un bambino che già ha problemi. Mio figlio non parla, è vero, ma non per questo non capisce: lo sanno questi signori quanta sofferenza gli hanno provocato, in questo modo?”.
C’è da dire che nessuno potrebbe, di norma, toccare il bambino nelle parti intime. Ma stiamo parlando di un bimbo disabile, pagagonabile, in questo caso, a un infante: qualcuno avrebbe potuto almeno dargli una sommaria lavata e farlo cambiare? O, se questo non era possibile, perché non è stato detto alla mamma di andare subito a prenderlo, visto che le sue condizioni non erano tali da consentirgli di restare a scuola?
Ma la sofferenza di Valerio non è limitata al singolo episodio: i disagi per il piccolo, che hanno poi portato a quanto successo ieri, vanno ricercati anche e soprattutto nel fatto che, da questo anno scolastico, al ragazzino sia stato cambiato l’assistente. La decisione è stata presa dal nuovo dirigente dell’azienda Socio Sanitaria del Comune di Pomezia, che pare abbia come convinzione il fatto che la “rotazione” degli assistenti sia necessaria per evitare che questi si affezionino troppo ai loro pazienti e ne risentano quindi psicologicamente.
“Mi è stato addirittura detto che gli assistenti possono contare su una psicologa, sempre della socio sanitaria: loro hanno bisogno di una psicologa? Non noi familiari o i piccoli pazienti? Davvero, non ho parole…”.
Il cambiamento è stato dannosissimo per Valerio, che aveva instaurato con la precedente assistente un rapporto di fiducia e comprensione.
“Lei comprendeva mio figlio dallo sguardo. Adesso, in sole due settimane, sono stati vanificati due anni di progressi e sacrifici. Valerio è regredito, come dimostra anche l’episodio appena accaduto. Io non capisco perché i bambini disabili vengano trattati come oggetti all’interno di una fabbrica, invece che come esseri umani che hanno bisogno di più cure e attenzioni degli altri. Fino allo scorso anno non avevamo problemi: adesso, invece, è una continua preoccupazione”.
“Io voglio rispettare le leggi e i ruoli – conclude Stefania – ma chiedo che, allo stesso modo, si rispetti la dignità di mio figlio, che ieri è stata calpestata in maniera indegna”.
Rispetto: è quello che chiediamo anche noi, unendoci all’appello di Stefania. Per questo chiediamo alla dirigente scolastica spiegazioni chiare in merito a quanto accaduto, così come le chiediamo anche al presidente della Socio Sanitaria.
Sul sito invalidi-disabili.it viene riportato, in merito a queste problematiche, il riferimento a una recente sentenza, che riportiamo: Il personale ATA ha il dovere di prestare assistenza agli alunni disabili. Con sentenza depositata il 30 maggio scorso, la Cassazione è intervenuta sulle mansioni del personale ATA, ribadendo che le collaboratrici scolastiche non possono rifiutarsi di cambiare il pannolino ad un’alunna disabile. La sentenza è la n. 22786 del 2016 con cui le collaboratrici scolastiche sono state condannate penalmente per rifiuto di atti d’ufficio dato che oltre ai compiti di vigilanza e sorveglianza, vi sono secondo la Corte anche quelli di assistenza agli alunni disabili.
Ora, per concludere, facciamo un appello agli amministratori comunali di Pomezia, soprattutto al sindaco Fabio Fucci: è possibile intervenire in qualche modo affinché episodi del genere non si ripetano mai più sul nostro territorio?