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Pomezia, l’ATER chiede quasi 6 milioni al Comune: i giudici del TAR respingono il ricorso

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Un risarcimento di € 5.817.418,57 (€ 4.619.280,48 più € 1.198.138,09 per interessi di mora): è questo l’importo che l’Ater aveva richiesto al Comune di Pomezia, ritenuto dall’ente provinciale “colpevole” di occupazione illegittima di alcuni immobili, effettuata in esecuzione delle ordinanze di requisizione del Sindaco di Pomezia negli anni 1989 e 1990. Ma ieri il TAR del Lazio, a cui l’Ater aveva fatto ricorso, ha dato ragione al Comune di Pomezia l’esito del ricorso presentato dall’Ater della Provincia di Roma contro il Comune di Pomezia.

La vicenda risale a quasi trent’anni fa, al 1989, quando l’allora sindaco, vista l’emergenza abitativa dovuta ad alcuni sgomberi, emise delle ordinanze attraverso le quali veniva deciso di requisire inizialmente 66 alloggi popolari di proprietà dello IACP della Provincia di Roma, e, un anno dopo, 3 nuovi alloggi, e di darli in “favore di nuclei familiari sgomberati da altri siti ed immessi nel possesso dei medesimi alloggi”.

Le ordinanze, contestate dall’Ater, furono dichiarate illegittime ed annullate dal T.A.R. del Lazio con sentenze nn. 1476/2005 e 1568/2005.

Ma ora, nonostante l’annullamento precedente, la decisione dei giudici è completamente a favore del Comune di Pomezia, respingendo la richiesta di condanna al risarcimento per l’occupazione degli alloggi.

“Lo IACP di Roma – si legge nella sentenza pubblicata ieri – impugnava le predette ordinanze di fronte a questo TAR e, sin dal mese di settembre 1992, chiedeva al Comune di Pomezia il pagamento dell’indennità di occupazione di ciascun alloggio secondo i criteri della legge 392/78 (equo canone), facendosi salva l’eventuale rivalsa da parte dell’Ente comunale sugli occupanti degli alloggi”.

Nel novembre 2003 l’Ater subentrava allo IACP, decidendo di fare ricorso e chiedere risarcimento danni “per la lesione dell’interesse legittimo dell’Istituto alla garanzia della piena legittimità dell’attività amministrativa compiuta da qualsiasi altra Pubblica Amministrazione nell’esercizio delle proprie potestà, in relazione a beni appartenenti al patrimonio indisponibile dell’Ente, destinato, secondo i modi di legge, al perseguimento del proprio fine istituzionale, costituito dal pubblico servizio dell’assistenza alloggiativa alle famiglie meno abbienti in stato di necessità alloggiativa, in possesso dei requisiti reddituali e familiari definiti ed accertati secondo le disposizioni di legge che determinano i poteri dell’Ente; oltre alla conseguente tutela dell’interesse dell’Istituto a veder comunque riconosciuta e garantita, a fronte dell’esercizio della potestà amministrativa di altre P.A., la legittima utilizzazione di tali beni”.

Secondo il Comune, l’ATER, pur vittorioso in sede giudiziaria, non avrebbe mai attivato alcuna procedura volta ad ottenere il rilascio degli immobili; di contro, l’Ente avrebbe peraltro “incamerato” dagli occupanti tutti i versamenti mensili dagli stessi effettuati a mezzo dei relativi bollettini, nonché, in alcuni casi, provvedendo alla loro regolarizzazione.

In pratica l’Ater, che voleva venissero riconosciuti come abusivi gli occupanti, prendeva da loro (o comunque da molti di loro, perché ci sono anche inquilini morosi) i soldi che venivano pagati per l’affitto.

Dal canto suo, il Comune contestava il fatto che non è mai stata sottoscritta la convenzione relativa alle aree in cui sorgono gli edifici con gli immobili occupati; ne conseguirebbe l’attuale doverosità del pagamento, da parte dell’IACP e oggi dell’ATER, degli importi dovuti a titolo di indennità di superficie, pari a € 3.995.712: non pagando, l’ATER decadrebbe dai diritti sulle aree, che verrebbero acquisite dal Comune.

Quindi, da un lato l’ATER chiedeva rimborso per la “condotta illegittima del Comune di Pomezia concretatasi dal 1989-1990 con l’immissione in possesso d’imperio dei cittadini rimasti senza casa avendo assunto su di sé l’onere di trovare loro un altro alloggio al di fuori di ogni regola”, condotta proseguita “pur dopo che il giudice amministrativo ne ebbe a decretare la reclamata illegittimità”, mentre dall’altro il Comune si opponeva alla richiesta disconoscendone i presupposti, dichiarando che l’ATER “nulla avrebbe fatto, a seguito dell’annullamento delle ordinanze di requisizione, al fine di riottenere la disponibilità degli alloggi in argomento, accampando la scusa di un presunto, mancato accordo con la Regione Lazio, problema non certo imputabile al Comune di Pomezia”; inoltre, “l’Ater, che ne aveva diritto e dovere, non è stato in grado per oltre dieci anni di avviare e definite un iter amministrativo o giudiziario al fine di riottenere il possesso degli alloggi ormai utilizzati sine titulo da privati cittadini”.

I giudici, dopo aver analizzato la complessa situazione, hanno stabilito che “l’occupazione, ritenuta da parte ricorrente fonte di lesione e causa di danno risarcibile, non può essere imputata al Comune poiché l’annullamento degli atti di requisizione ha comportato una cesura definitiva del rapporto tra Ater e l’Ente medesimo, privando il Comune di ogni potere di intervento autoritativo nella gestione degli alloggi”. Questo ha comportato, secondo i giudici, che “gli utilizzatori, invero, hanno assunto una posizione analoga a quella degli occupatori abusivi, ovvero sine titulo, tenuti personalmente e direttamente alla corresponsione dei canoni locativi o delle indennità sostitutive quale controprestazione per il godimento dei beni”. In pratica, se qualcuno deve pagare qualcosa all’ATER, tocca agli inquilini “privi di titolo” farlo e non al Comune, fermo restando che “ ATER ha sempre riscosso dagli occupanti (seppure non da tutti), sin dalla data di requisizione ed almeno fino al 30/6/2015, le somme dovute a titolo di occupazione (id est, canoni locativi e/o di occupazione)”.

“La pretesa avanzata da ATER, dunque, appare sine causa e, se accolta, si sostanzierebbe in una sorta di ingiustificata locupletazione di somme che l’Azienda ha già riscosso o che era tenuta a riscuotere dai soggetti terzi obbligati”, chiariscono i giudici.

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