4,00 euro a bambino per partecipare alla festa di Carnevale a scuola, con tanto di pagliacci e animatori. Un euro in meno invece – prezzo tuttavia poi superato a causa di alcuni “optional” (1 euro per lo zucchero filato, € 0.50 per un cappellino) – per una festa analoga in un altro istituto pubblico del territorio di Pomezia anche se ricadente nel medesimo Istituto Comprensivo. Due le date: venerdì 9 e ieri, martedì 13 febbraio 2018, ultimo giorno di Carnevale.
Prezzi sicuramente “popolari”, se si trattasse di una festa in un posto privato, ma che hanno provocato la protesta di un gruppo di genitori considerato che l’evento è stato fatto all’interno di scuole pubbliche e per di più in orario scolastico. Cosa più grave, dalla festa sono stati esclusi i bimbi i cui genitori si sono rifiutati, per motivi diversi, di pagare. E c’è di più: tale istituto infatti non sarebbe “nuovo” a simili iniziative che, stando a quanto raccolto, si sarebbero verificate anche sotto Natale, con una festa a pagamento al posto della classica recita.
“Abbiamo trovato ingiusto questo ‘obolo’ da dare per un’attività che viene svolta all’interno di una scuola in un orario in cui i bambini sono presenti per diritto – hanno dichiarato arrabbiati alcuni genitori – Invece di fare recite o festicciole tra bimbi, qualcuno ha pensato di fare le cose in grande, ovviamente a spese delle famiglie: a tutti i bimbi, più di 500 per ogni scuola del plesso in questione, e perciò parliamo di un più di migliaio di alunni di varie età, è stato richiesto il pagamento di 4 euro a testa per poter assistere a questi spettacoli, affidati a degli animatori esterni. Era già successo a Natale: niente recita, ma festa a pagamento. E adesso si è fatto il bis, anzi il tris, visto che una festa si è svolta il 9 febbraio e l’altra ieri, sia la mattina che il pomeriggio, in modo da coinvolgere sia i bambini del tempo pieno che quelli del tempo normale”.
“Io, dopo l’esperienza del Natale, oggi non ho mandato i miei figli a scuola, per evitare che venissero nuovamente discriminati”, aggiunge un genitore.
In che senso?
“La volta scorsa non ho voluto pagare i 4 euro per principio e non solo: ho tre figli che vanno in quel plesso, e sinceramente 12 euro per un paio d’ore di giochi non me li posso permettere. Perché chiamare un truccabimbi che fa giochi e simili a pagamento nell’orario di scuola, senza sapere se le famiglie si possono permettere anche questa spesa in più? Quando sono andata a riprendere la bambina ho scoperto che mentre tutti gli altri erano alla festa, lei e un’altro gruppetto di bambini di tutta la scuola erano stati messi insieme in un’aula. Poi, a festa conclusa, i bambini hanno visto i loro compagni truccati e li hanno sentiti raccontare dei pochi che avevano fatto. Ovviamente i miei figli, come tanti altri piccoli alunni, si sono messi a piangere non appena si sono resi conti che erano stati esclusi dalla festa. Possibile che non si possa giocare gratis neanche a scuola? Per evitare che si ripetesse la stessa storia, oggi li ho tenuti a casa con i nonni”.
E la cosa si è ripetuta ora per Carnevale: “La supplente mi ha detto che dovevamo portare 4 euro per far partecipare i bambini alla festa di carnevale. Pensavo che questi soldi servissero per comprare le cose da mangiare – ha aggiunto un’altra mamma – invece erano per pagare gli animatori. Ma non si poteva organizzare una festicciola tra alunni e maestre come tutti gli anni? Chi ci guadagna da questa cosa che sta diventando un obbligo? Se si moltiplicano 4 euro per ogni bambino si arriva a una cifra davvero molto consistente, per un paio d’ore di divertimento: sarò pure malfidata, ma questa cosa non mi piace per come è stata imposta alle famiglie”.
“Io sono contenta che i miei figli si siano divertiti. Ho pagato 8 euro perché ne ho due”, ha invece commentato un’altra mamma.
Pareri diversi, che comunque portano a una domanda: è giusto che in una scuola pubblica si debba pagare per una festa nell’orario scolastico?
Senza contare che in tal modo i genitori sono stati privati della libertà di scelta: chi ha mandato i figli a scuola – magari non avendo la possibilità di tenerli a casa – e non ha voluto pagare ha dovuto poi confrontarsi, come visto, con la delusione dei figli rimasti esclusi; chi invece è riuscito a tenerli a casa ha dovuto comunque pagare il prezzo di un’assenza non giustificata. Insomma, vi pare giusto tutto questo?
Ad ogni modo abbiamo provato tutta la mattina a contattare telefonicamente le scuole del plesso in questione: nella sede centrale risponde una voce guida che invita a digitare il tasto 1 per la segreteria degli alunni, il tasto 2 per la segreteria docenti e il tasto 3 per il fax. Dalle 8 alle 12:30 abbiamo costantemente provato – non potando recarci di persona – a digitare il tasto 1, poi anche il tasto 2, ma ogni volta si sente una voce registrata che invita dapprima ad attendere, poi a riattaccare a causa degli operatori tutti (perennemente?) occupati. Intorno alle 13 siamo riusciti a parlare, dopo alcuni tentativi andati a vuoto, con un’insegnante, che però ci ha vietato di divulgare il suo nome, la quale ha spiegato che l’idea della festa a pagamento è stata discussa e condivisa (da chi?) al punto che la spesa è stata inserita nei documenti ufficiali della scuola stessa.
Ma in che modo, visto che a pagare sono state le famiglie? E quanto è costata ogni vesta, visto che in ogni scuola ci sono centinaia di bambini che hanno sborsato 4 euro? Da un conto approssimativo, il costo di ogni evento si aggira sui 1200 euro, cifra “in linea con i servizi offerti dagli animatori – ha spiegato l’insegnante – visto che hanno anche portato la macchina dello zucchero filato e hanno truccato i bambini facendoli divertire”.
“Siamo comunque disponibili, se ci viene richiesto dai genitori – ha concluso l’insegnante – a parlare con le famiglie che non hanno gradito questa iniziativa per poter chiarire i punti che ci vengono contestati”.
Noi del Corriere, dal canto nostro, siamo ovviamente disponibili a pubblicare qualsiasi altro chiarimento o spiegazione che la scuola volesse rendere noto attraverso il nostro giornale.