È stata un successo, la serata di ieri all’Isola del Cinema, l’Hollywood sul Tevere che anima l’estate romana.
C’era il pienone, in platea, per vedere uno dei maggiori successi del 2016, “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese, talmente acclamato che, oltre ad aver vinto il David di Donatello come miglior film e per la migliore sceneggiatura, sarà oggetto di remake in varie Nazioni.
Francesca Piggianelli, eccellente “padrona di casa”, ha introdotto, prima della proiezione del film, il regista Paolo Genovese, che al termine si è reso disponibile per una chiacchierata con il pubblico, svelando aspetti insoliti e insospettati della storia, dalla sua nascita alla realizzazione.
Con Genovese anche gli altri sceneggiatori, ognuno dei quali ha messo nella storia le proprie emozioni e suoi punti di vista, mixandoli con sapiente bravura fino a dare vita ai sette protagonisti del film.
Il risultato, secondo noi, è un equilibrio perfetto tra commedia e dramma.
Cosa potrebbe succedere se, per il tempo di una cena, il nostro telefono cellulare fosse alla mercé di tutti quelli che siedono a tavola con noi, amici, mariti o mogli che siano?
I segreti di un gruppo di sette amici che, per un gioco che è la versione terribile di quello “della bottiglia” che si fa – o meglio si faceva un tempo – da adolescenti, vengono a galla sotto gli occhi attoniti di tutti loro, sconvolgendone gli schemi.
Ma “Perfetti sconosciuti”, dall’abile regia e sceneggiatura di Paolo Genovese, non è solo questo.
È lo specchio dell’attuale società, che ci vede tutti, chi più chi meno, vivere nella “dimensione parallela” che ci fornisce il nostro telefonino.
Uno strumento che ormai gestisce la nostra vita, che contiene i nostri segreti e le nostre speranze.
E che muove le storie dei sette protagonisti, allontanandole e, al contempo, intrecciandole al di là dell’amicizia che li lega.
Tre coppie e un sedicente fidanzato che non sono esattamente come mostrano di essere. Ognuno di loro ha dei lati oscuri che si svelano attraverso i messaggi e le telefonate ricevute nel corso di una cena, una delle tante che i sette amici trascorrono insieme.
137 minuti che scorrono veloci, in un vortice di battute, sguardi, inquadrature che svelano turbamenti e che fanno quasi dimenticare che l’intero film è ambientato esclusivamente all’interno di un appartamento, quello in cui si svolge la cena.
Una commedia con il risvolto amaro che fa il punto non solo sulle relazioni di coppia, ma su quelle – a volte complici, a volte complicate – di amicizia.
Una commedia all’italiana solo per quanto riguarda i modi di dire, il linguaggio diretto e sfacciato, che a volte sconfina volutamente in qualche termine volgare (in fondo, non è così che si parla tra amici che condividono tutto?) ma sicuramente universale se si va al nocciolo del problema.
E una commedia che riesce a uscire abilmente dal tunnel in cui si era volutamente cacciata con un finale che stravolge quanto visto – o creduto di vedere – fino a quel momento.
Un “happy end” che lascia l’amaro in bocca, perché nasconde bugie e ipocrisie che segnano lo spettatore che – nonostante lo abbia magari già fatto chissà quante volte – si ritrova brutalmente a domandarsi se anche lui stia vivendo una situazione del genere.
Cancellare un messaggio, non farsi scoprire, non sapere, basta a salvare una storia d’amore? È meglio trovare il coraggio di lasciarsi e tentare di essere felici, o continuare sui binari dell’apparenza che danno tanta tranquillità e non ci costringono a fare i conti con noi stessi? Sono eterne domande a cui il film non fornisce certo risposte, ma che, tra una risata e l’altra, continuano ad affiorare pian piano, come la luna dopo l’eclissi totale.