Ammontano ad oltre 43 milioni di euro i proventi derivanti dalla vendita di caffè che sarebbero sfuggiti all’imposizione diretta ed a 7,9 milioni l’IVA evasa da undici soggetti economici operanti nel litorale romano, individuati dai finanzieri del Comando Provinciale di Roma.
Gli affari andavano “a gonfie vele” ed i proventi ottenuti dalla vendita di caffè all’ingrosso erano ingenti al punto da rendere necessario un espediente che permettesse di abbattere gli utili di esercizio – e quindi le imposte – di una nota società romana di commercio all’ingrosso di caffè, rifornitrice di numerosi bar e ristoranti del litorale romano.
Nel corso di una normale verifica fiscale, i militari si rendono conto che qualcosa non torna e decidono di spulciare i documenti bancari della società, approfondimento da cui emerge la movimentazione di ingenti somme di denaro che non trovano riscontro nelle dichiarazioni annuali presentate ai fini dell’IVA, delle imposte sui redditi e dell’IRAP.
Di più, nell’ambito dei medesimi accertamenti, è emerso il ruolo peculiare di una donna, reale dominus degli affari, delegata ad operare sui conti di altre società operanti nel medesimo settore commerciale.
Le indagini delle Fiamme Gialle del II Gruppo di Ostia si sono allargate “a macchia d’olio” arrivando a far luce su un reticolo di società amministrate da “teste di legno”, tutte riconducibili ad un’unica regia, che erano state costituite “ad hoc” al fine di permettere alla società “pulita”, mediante il ricorso a fittizie interposizioni, di abbattere i redditi derivanti dalla vendita di caffè.
La loro vita era piuttosto breve poiché, raggiunte le finalità ultime dell’organizzazione, venivano poste immediatamente in liquidazione con i loro ingenti debiti tributari.
Sono nove le persone denunciate, a vario titolo, alla Procura della Repubblica di Roma, accusate di occultamento delle scritture contabili, omesso versamento dell’IVA, omessa presentazione della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi e dichiarazione infedele, queste ultime due per aver superato le soglie minime di punibilità previste dalla legge penale tributaria.