Quando scoppia una guerra molte libertà vengono di colpo annientate, e una di queste è proprio la libertà di informazione. Ed è quello che sta accadendo in queste ore in Ucraina, dove alcuni giornalisti, tra cui anche tre italiani, sono stati fermati. Lo sanno bene il giornalista Leonardo Zellino e il suo cameraman Maurizio Calaiò, che sono stati fermati a Kiev per più di un’ora, con le mani sul cofano della loro auto, mentre stavano raggiungendo la capitale per svolgere il loro mestiere di cronisti e diffusori di informazione pubblica.
I militari ucraini hanno controllato i loro documenti ma soprattutto il materiale che avevano girato sia con i cellulari che con la telecamera perché credevano che fossero spie russe. Una volta verificato che fosse tutto in ordine, sono stati rilasciati e hanno potuto proseguire nel loro lavoro. Sorte analoga è successa al reporter Giammarco Sicuro, che è stato fermato a lungo dalla polizia russa senza, per fortuna, essere arrestato. Ma altri nove giornalisti fermati con lui, sono poi stati arrestati. Queste vicende mostrano come la polizia stia reprimendo le manifestazioni contro la guerra, rischiando anche di mettere il bavaglio alla stampa.
Giornalisti fermati a Kiev anche negli anni passati
Di esempi di giornalisti fermati, torturati e a volte anche uccisi in conflitti di guerra se ne potrebbero fare a centinaia, ma vale la pena soffermarsi su altri casi avvenuti sempre in Ucraina negli anni passati.
E’ il 6 giugno 2014 quando l’operatore della tv Zvezda Andrei Sushenko e il tecnico Anton Malyshev vengono fermati, bendati, fatti mettere in ginocchio e poi trascinati via. Come dimostra questo fatto, non è la prima volta che la polizia ucraina fermi i giornalisti russi. Secondo i militari, i cronisti russi, sebbene accreditati, sarebbero stati delle spie.
Sempre nel 2014 due giornalisti italiani e uno bielorusso sono stati temporaneamente arrestati dai ribelli filorussi a Slovyansk, nella parte orientale dell’Ucraina. La città era occupata dalle forze pro-Mosca da oltre una settimana. Dmitry Galko, il giornalista bielorusso, dichiarò all’Associated Press che lui e i due colleghi italiani erano stati presi in poi liberati dopo un controllo dei documenti.
Il 1°Maggio 2015, proprio a Kiev, venne fermato per 5 ore alla frontiera il giornalista Franco Fracassi. La sua presunta colpa era quella di aver scritto in Italia articoli che avrebbero offeso il prestigio della nazione Ucraina. Anche in questo caso, grazie all’intervento diplomatico italiano, il giornalista venne rilasciato e poté continuare il suo lavoro, anche se gli venne caldamente sconsigliato di farlo, ma, al contrario, di rientrare in patria.
Ci avviciniamo nel tempo e arriviamo al 2019, quando la giornalista della tv russa NTV, Aleksandra Tonkikh, viene bandita dall’Ucraina per tre anni. La sua “colpa”? Secondo le autorità di Kiev, nel 2016, Alexandra Tonkikh avrebbe visitato “illegalmente” la Crimea. La verità, come aveva reso noto la stessa giornalista, il diniego sarebbe iniziato quando avrebbe dichiarato ai funzionari doganali dell’aeroporto di Borispol di essere una corrispondente di NTV.
Gli esempi appena riportati mostrano come la figura del reporter venga considerata come una minaccia di cui doversi disfare. A tal proposito non possiamo non citare le vicende di due giornaliste, una italiana e l’altra americana, che sono state ferite in guerra mentre svolgevano il loro lavoro. Se ne potrebbero citare anche altre, ma prendiamo loro come esempio per tutte. La prima è Oriana Fallaci, la quale, il 2 ottobre 1968, venne ferita in Piazza delle Tre Culture, a Città del Messico, da una raffica di mitra. L’altra è Marie Colvin, che perse l’occhio sinistro mentre era in Sri Lanka a documentare i combattimenti tra governo e ribelli. Era il 16 aprile 2001.
Entrambe le reporter sono poi tornate al fronte per continuare a documentare la guerra.
Giornalisti uccisi in guerra e libertà di stampa
Alla luce di quanto fin’ora riportato, il Committee to Protect Journalists, nel 2014, ha analizzato il grado di libertà di stampa nel mondo e dal 1992 la situazione è davvero preoccupante. Un totale di 1072 giornalisti uccisi nei teatri di guerra, con il più alto tasso di mortalità in Iraq: 165 morti solo in quell’anno.
Ma va detto, però, anche se potrà sembrare strano, che la maggior parte dei giornalisti morti avviene lontano dalle zone di guerra. Questo è quello che ha affermato Rsf (Reporter senza frontiere) in un reportage del 2020 in cui illustrava come, fino all’anno prima, i cronisti morti in guerra erano solo 53. Mentre, un bel 84% di giornalisti morti era stato preso di mira e deliberatamente eliminato.
Dati, questi, non certo incoraggianti. E allora viene da chiederci: la libertà di stampa esiste ancora nel mondo?
La risposta ce la dà il World Press Freedom Index del 2021: nei ¾ dei Paesi presi in considerazione per la libertà di stampa questa è completamente o parzialmente bloccata. Quindi, l’informazione dei 73 Paesi su 180 esaminati è a rischio. Per ora, sul podio, troviamo rispettivamente: la Norvegia, la Finlandia e la Svezia.
E l’Italia? Il Bel Paese è scivolato nientemeno che al 41° posto. Peggio di noi vediamo il Burkina Faso (43°).
Tutti questi dati devono far riflettere e prendere seriamente in considerazione che l’unica arma che il mondo ha contro la disinformazione, l’inganno e la manipolazione è la libertà di informazione e di divulgazione delle notizie a 360 gradi. Non si può essere veramente liberi senza essere adeguatamente informati.