Il nostro viaggio alla ricerca della biga perduta inizia a Formello un piccolo comune della città metropolitana di Roma Capitale, il cui territorio un tempo faceva parte della città etrusca di Veio. Rimangono a testimonianza della lunga dominazione etrusca numerosi manufatti che grazie ad un accordo privato tra nobili famiglie, oggi si trovano raccolti – assieme ad altri reperti autentici provenienti da altri contesti – presso Palazzo Orsini-Chigi conosciuto come il Museo dell’Agro Veientano.
Ad accoglierci il geniale Direttore, la dott.ssa Iefke Van Kampen, che ha dedicato oltre venti anni della sua vita a questa impresa. La definisce un “sogno diventato realtà”. E ci conferma che molti dei manufatti ritrovati nel territorio di Roma Nord e comuni limitrofi hanno preso, più o meno legalmente, il volo per altri Paesi. Innumerevoli altri carri di epoca etrusca e romana hanno molto probabilmente subito sorte peggiore, frettolosamente ricoperti dal cemento per evitare lo stop della Soprintendenza ai tanti, forse troppi, cantieri edili sorti come funghi negli anni ‘80, Come quello che qualcuno giurerebbe essere stato rinvenuto ad Ottavia in via Gallicano del Lazio proprio in quel periodo, poi svanito nel nulla.
La biga all’interno di una sepoltura a Formello
Un mondo a parte, quello delle bighe che – nate come carri da guerra o da trasporto assunsero ben presto la simbologia di veicoli per l’aldilà. E venivano spesso custoditi nel sepolcro assieme al defunto. “Anche qui a Formello – ci spiega la Van Kampen – abbiamo trovato uno di questi carri all’interno di una sepoltura, in ottimo stato di conservazione”. La Van Kampen ricorda gli anni passati a Copenaghen dove ebbe modo di approfondire e aggiornare i suoi studi sull’argomento.
E proprio a Copenaghen nel ‘71 erano finiti centinaia di reperti di epoca etrusca rinvenuti in varie aree dell’alto Lazio. Dalla signora Caterina Testa dell’Istituto Italiano di Cultura a Copenaghen veniamo a sapere che – a seguito di un accordo tra la NY Carlsberg Glyptotek e il ministero della cultura italiana, tra il 2016 e il 2018 furono restituiti all’Italia dal Museo danese – non senza una certa discutibile resistenza iniziale – ben 488 oggetti archeologici. Tra questi la biga etrusca rinvenuta nel 1967 presso la necropoli di Eretum (Fara Sabina) .
Il calesse dalle lamine d’oro
Il celebre calesse – composto da dodici lamine d’oro ed un prezioso corredo funebre fatto di gioielli, armi, scudi, bronzi e ceramiche – era stato letteralmente depredato e consegnato al museo danese tramite uno scellerato accordo con un losco individuo, il mercante d’arte Giacomo Medici (per il solo corredo del principe venne firmato nel 1971 un assegno di ben 1.264.752 franchi svizzeri!). Quando nel 1972 gli archeologi italiani appresero che una tomba principesca in Sabina era stata violata da tombaroli, la notizia fece scandalo e la sua risonanza fu tale che, a metà degli anni ’90, la polizia riuscì a individuare e a perquisire il magazzino del noto gallerista Giacomo Medici, poi condannato per i suoi misfatti a 8 anni di reclusione. Nel suo “covo” furono ritrovati circa 4.000 oggetti che il mercante aveva acquisito illegalmente oltre a fotografie di diverse migliaia di oggetti rivenduti anch’essi tramite una rete illegale.
Tutto è bene quel che finisce bene. Certo. L’Italia rientrò in possesso dei suoi preziosi reperti (tra cui il carro del principe sabino) impegnandosi a prestare a Copenaghen anche per lunghi periodi, altri gioielli del suo patrimonio, che in Danimarca avrebbero trovato una vetrina adeguata ma anche le risorse per i restauri che in patria non si era ancora riusciti a intraprendere.
Turisti “per caso” a Copenaghen
“Non possediamo alcuna biga”, sottolinea con decisione la direzione del Museo danese. “Tutto quel che il nostro museo custodisce è ben visibile nei cataloghi”, stigmatizzano. Gli crediamo sulla parola, ma l’idea di farci una puntatina ci solletica non poco. Possiamo così constatare di persona che oggi la sezione Arte Antica del Mediterraneo del Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen (la più grande d’Europa) è in realtà molto ridotta rispetto al passato.
Vi sono custoditi un buon numero numero di anfore, vasellame in bronzo, calici utilizzati per i rituali religiosi ma anche per raccogliere i frutti della “madre Terra” ed anche un bellissimo vassoio finemente decorato. Non mancano resti di urne cinerarie e stele votive che contrassegnavano l’ingresso al sepolcro del defunto. Le copie infine di lembi degli affreschi della bellissima Tomba di Veio (detta Campana dal nome del suo scopritore) – oggi mèta di appassionati e studiosi nell’omonimo parco sul percorso della via Francigena – testimoniano l’amore inestinguibile dei nostri cugini scandinavi per l’italica cultura e l’inscindibile legame tra i due Paesi. Un legame che il ritrovamento due anni fa dei resti di una antica fortezza romana nell’isola di Lolland parrebbe avere ulteriormente suggellato.
Di quell’imbarazzante “incidente di percorso” – che negli ultimi decenni rischiò di guastare i rapporti diplomatici tra i due Stati – resta solo un vago ricordo sul quale, sia italiani che danesi, hanno evidentemente preferito stendere un velo pietoso.
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