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Cosa resta della pandemia da Covid-19

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Finita la pandemia Covid 19 come dichiarato dall’OMS – l’Organizzazione Mondiale della Sanità – il 5 maggio scorso, conviviamo, oltre che col virus, sordo alla dichiarazione, con un clima di sospetto e paura ritrovatoci in eredità, che d’un colpo ha  spezzato la catena di solidarietà faticosamente costruita dall’umanità nel corso dei secoli. Diffidenza, pregiudizi, angosce si sono insinuati tra le relazioni compromettendole, se si considera che il Covid 19 era solo il triste antipasto di un nuovo modo di fare le guerre – più sofisticato e senza spargimento di sangue-  il futuro non promette niente di buono.

“Una pura formalità”

I bambini sono i più scossi dalle norme restrittive della pandemia (privati degli amici, gli insegnanti, i loro principali riferimenti sociali) ma anche gli adulti non ne sono venuti fuori indenni. Privati dalle norme per più tempo degli altri, si sono sentiti i più pericolosi di tutti fino ad addossarsi la colpa della morte dei propri nonni e pure di quelli degli altri che senza scrupoli le TV trasmettevano (camion in fila pieni di morti, anziani morenti negli ospedali); con la conseguenza di installare nella loro psiche un nocciolo di colpa che potrebbe aver compromesso le loro relazioni future manifestandosi alla minima occasione. 

Gli adulti, e tra loro i più fragili, ancora vivono in uno stato di disorientamento fondamentale conseguente  all’essersi ritrovati a tu per tu col rischio della morte propria e di quella degli altri.  La morte, al di là di quanto può sembrare, non è un concetto assimilabile dalla mente umana; Freud, il padre della psicoanalisi, raccontava di un discorso udito tra due coniugi: “Cara, quando uno di noi due morirà, io continuerò per sempre a vivere in questa casa che ci ha visti tanto felici insieme” Un rimbambimento a scopo difensivo che attua la mente quando è di fronte ad esperienze intollerabili e ingestibili. 

D’un tratto il mondo è divenuto nemico, tutti si sono sentiti circondati da untori, lebbrosi di stile manzoniano trasportati su carretti, oggi su camion, sempre nel bergamasco. Hanno influito a risvegliare queste paure paragoni forse troppo azzardati fatti con guerre e carestie specie considerando che il tutto si è sgonfiato come una bolla di sapone, con una dichiarazione che lascia senza spiegazioni né sulle origini né sullo stato attuale del virus né sulle conseguenze. Anche il timore di restare l’unico superstite (come l’affettuoso marito di cui sopra) in uno scenario mondiale da After Day è divenuto concreto, ancora di più per l’uomo occidentale che, rispetto a quelli del Terzo mondo che convive quotidianamente con morti, carestie, infezioni, è abituato a vivere in certezze di benessere e libertà a vita. Ritrovarsi d’un colpo privato dei suoi agi senza poter uscire di casa, al pari di un delinquente agli arresti domiciliari, neanche per lavorare o per assistere una madre in fin di vita sola in un ospedale, è stato parecchio traumatizzante.

La successiva rapida cancellazione dalla mente dell’evento traumatico con una buona dose di indifferenza, non favorisce l’elaborazione del trauma, ne è testimonianza la sfrenata attività post-pandemica: viaggi, fare, comprare qualsiasi cosa pur di evadere per risperimentare la libertà di azione sottratta, ciò segnala la presenza nella psiche di uno stato permanente di eccitazione (dettato dalla paura rimossa) al limite del tossicomanico.

Comportamenti da evasi da un carcere nel quale si è finiti per caso e senza colpe come nel film “Detenuto in attesa di giudizio” di Nanni Loy con A. Sordi. Il signor Di Noi, un geometra proveniente dalla Svezia per una vacanza Italia con la famiglia, venne arrestato alla frontiera senza una spiegazione. Già in carcere a Milano apprende di essere accusato di omicidio colposo preterintenzionale di un cittadino tedesco, alla fine rivelatosi morto per il crollo accidentale di un viadotto di una superstrada (un altro film già visto).  Il magistrato inquirente neanche volle ascoltarlo rimproverandogli di non avere un legale: finì così tra ergastolani violenti rischiando quasi una violenza e poi in una struttura psichiatrica. E ne uscì solo grazie all’ostinazione della moglie Ingrid ma come un uomo oramai distrutto. 

Alla forsennata ricerca di una spiegazione logica gli venne in mente di un tedesco che lo aveva picchiato durante la guerra e si domandò: “Sarà morto per le botte che m’ha dato?“. Giunto al confine italiano una volta tornato libero, un agente di polizia lo fermò per espletare “una pura formalità”, a queste parole il signor Di Noi scappò terrorizzato inseguito dai militari e da una raffica di mitra. Un incubo kafkiano che ha qualche similitudine con la realtà dai tratti a volte sovrannaturali della pandemia: multe a raffica su poveri cittadini colpevoli di avere “una certa età” o di dover lavorare, fare la spesa (una passeggiata neanche a parlarne, a meno di non avere un cagnolino da trascinare fuori una ventina di volte al giorno), etc.

Multe poi annullate unendo al danno la beffa rispetto ai poveri “stupidi”, timorati di Dio e della legge, che sempre pagano in tempo il dovuto, altro film che danno spesso al cinematografo italiano. Le forze dell’ordine, vestiti prontamente i panni da sceriffi sono partite in quarta nelle loro camionette in difesa della città dai “nuovi criminali”, gli onesti, spesso i poveri, che nessuno ascolta perché senza difensori come tanti signor Di Noi (nome scelto non a caso dal regista Nanni Loy distintosi per la sua critica sociale). Una per tutte, un minorenne che correva da solo su una spiaggia deserta la mattina presto venne inseguito da militari, senza raffiche di mitra per fortuna, e arrestato per resistenza alla forza pubblica anche con una multa di migliaia di euro, chissà se il ragazzino avrà trovato un difensore!

Un vero incubo ad occhi aperti, qualcuno è sopravvissuto al Covid, anche grazie ai vaccini, ma tanti sono morti di altre malattie (che parevano sparite dall’orizzonte medico), alcuni per gli stessi vaccini tra quelli scoperti successivamente non testati (forse i responsabili li trovano i difensori) e tanti altri soffrono per problemi fisici e psicologici per i quali non esistono né vaccini,  né difensori. 

Oggi fioccano le inchieste per abusi di ufficio, arricchimenti illeciti, corruzioni, mascherine-gate, respiratori Killer che provocavano l’asfissia che dovevano supportare, etc , ma ciò non basta anche perché poi si sa queste cose come vanno a finire, tra tempestive abolizioni di reati, prescrizioni, depenalizzazioni, nessuno paga, film già visti fino alla nausea.

“E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio” diceva A. Einstein ed è proprio il pregiudizio il principale erede della pandemia. Il pregiudizio, figlio della diffidenza, è un giudizio che si forma prima di qualsiasi verifica di attendibilità nella realtà,  è l’opposto della conoscenza, impedisce qualsiasi forma di incontro e di ascolto.

Chi pensa per pregiudizi anticipa un senso a ciò che in un primo momento appare  ambiguo attingendo a categorie preformate già fisse nella mente, con lo scopo di formarsi una idea di quello che accade per tentare una prima elaborazione di quello che accadrà. Servirsi di un pregiudizio, ovvero pensare senza riflettere, è come fornirsi di cibi già pronti col rischio di divenire sempre più superficiali e manipolabili. Giudicare è facile, è capire che è difficile  perché richiede la capacità di ascolto, cosa che il pregiudizio blocca.

Sommersi sotto ad un diluvio di odio, preconcetti, catastrofi, guerre, pandemie, siccità, alluvioni biblici, saremo in grado di costruire un’arca, senza un magistrato che ci vuole ascoltare perché senza difensori (a meno di non sperare in un nuovo Messia) ma soprattutto senza le dritte necessarie che ricevette Pietro sin nei minimi dettagli dal Signore?

Francesca Tomasino

Psicologa-Psicoterapeuta

francesca.tomasino@hotmail.itf

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