Una famiglia di cinghiali che gira attorno a una roulotte in cerca di cibo. Scava nella terra, i cinghialini mangiano qualcosa tra i rifiuti gettati ovunque. Ci avviciniamo per riprendere la scena. Uno degli animali si spaventa e scappa, mentre un altro invece cerca di avvicinarsi.
Siamo al campo rom di Castel Romano, nella parte non sottoposta a sequestro. Qui non ci sono i new jersey. Né tantomeno pattuglie della polizia locale, che sono posizionate su via Pontina, poco più avanti, sull’ingresso principale del campo. E di conseguenza chiunque da qui può entrare e uscire senza alcun controllo e raggiungere la fermata del Cotral, prendere il bus e andare in qualsiasi posto.
Questa parte del campo è completamente abusiva, per questo non è stata sequestrata la scorsa estate, quando sono arrivati i controlli che hanno impedito l’accesso ai mezzi motorizzati nell’area F, nell’Area K e nell’Area D, quella costruita sui terreni di Buzzi. Nessuno per lungo tempo si è accorto che esista, nonostante sia fornita di bagni chimici (forniti dal Comune) che vengono regolarmente (e per fortuna…) svuotati.
I rifiuti e la richiesta di denaro
Qui si vive tra i rifiuti, perché quest’area non è tra quelle già bonificate. Quando proviamo ad avvicinarci ai rom per chiedere se possiamo parlare con loro ci dicono che possiamo farlo – e anche riprendere all’interno – se gli diamo 100 euro. Al nostro rifiuto tirano fuori dei sassi e mimano il gesto di tirarli, ma non lo fanno. Tutto intorno cumuli di rifiuti: alcuni bruciati, altri no. Un perimetro di immondizia che arriva fino al confine con la vallata. E proprio laggiù si vedono ancora i resti delle carcasse di auto, sia quelle bruciate che quelle “sane”, che il Comune non è riuscito a bonificare.
Da mesi, infatti, in quest’area è partita la costosissima opera di bonifica: i rifiuti vengono raccolti, ammucchiati e poi portati via. Un lavoro immane. Ma ci sono punti in cui, a causa della conformazione del terreno, non si riesce ad arrivare. E quindi i rifiuti restano lì. Auto, pneumatici, mobili, elettrodomestici e tanto altro.
Le casseforti
Ci sono anche casseforti. Tante, decine e decine. Perché uno dei business più redditizi, che ancora non era stato scoperto, è proprio questo: il furto degli ATM, i bancomat, che vengono fatti saltare o smurati da banche, uffici postali, supermercati o altre attività commerciali e poi portati qui per essere svuotati con tutta calma. Ce ne sono di tutti i tipi, ovviamente aperti e senza più l’ombra di un centesimo.
Come possano essere passati indisturbati con questo prezioso carico nonostante la sorveglianza non si sa. O forse sì: basta farlo nelle ore in cui la polizia locale non è di turno, magari passando dalla stradina sterrata che costeggia il campo rom e non dalla parte frontale. Ci sono anche le macchinette delle merendine, rubate probabilmente in qualche scuola e svuotate con calma qui nel bosco sia delle monetine che del cibo.
Le casseforti sono state buttate in un fossato, in modo da non essere viste. Nel nostro giro di perlustrazione abbiamo trovato anche delle cinghie: vengono utilizzate per calarsi (o al contrario per risalire) nel fossato e nascondersi o fuggire nel caso si avverta il pericolo, ovvero qualora ci fossero dei controlli delle forze dell’ordine. A poca distanza in linea d’area ci sono ancora i resti delle auto cannibalizzate e bruciate (molte sono state portate via dalle varie bonifiche), mentre ancora un po’ più in là ci sono i cumuli di pneumatici rubati. Tutto contornato da alberi e arbusti bruciati, ricordo dei roghi tossici che fino a poco tempo fa erano uno “spettacolo” quotidiano.
Il Covid
Il Covid, che aveva creato agitazione lo scorso 9 febbraio, sembra essere quindi solo uno dei problemi del campo rom, l’ennesimo interruttore che accende i riflettori su una questione che fa discutere da anni. Certo, il Coronavirus all’interno del villaggio è sicuramente un problema da affrontare seriamente e su più fronti. I problemi di igiene che ci sono nel campo e vivere all’interno di roulotte o container di certo non favoriscono la guarigione delle persone che, pur non mostrando una grave sintomatologia, risultano positive al virus.
La preoccupazione – più che fondata – è che all’interno del villaggio in caso di contagio si possa circolare liberamente senza rispettare l’obbligo di quarantena, ma anche che qualcuno, asintomatico, esca comunque, confondendosi tra le persone che vanno e vengono dal campo. Ma questo, come detto, è solo uno dei problemi. Ci sono poi tutti gli altri, che restano immutati da anni.
Gli sgomberi
Dopo mesi di silenzio si riparla di sgomberi. Il 16 febbraio la sindaca di Roma Virginia Raggi ha infatti firmato l’ordinanza che prevede lo sgombero dell’Area F e dell’Area ex Tor Pagnotta all’interno del campo rom di Castel Romano per “ripristinare le condizioni ambientali e igienico sanitarie a tutela della salute pubblica”. L’ordinanza riguarda 116 persone – di cui 56 minori – che occupano l’Area F, ovvero una delle parti più degradate del campo e l’Area ex Tor Pagnotta, cioè le roulotte situate nella parte abusiva. Il documento a firma della sindaca è stato notificato il 24 febbraio e, da quel giorno, i destinatari avrebbero dovuto avere una settimana per lasciare loro abitazioni. Questo significava, almeno teoricamente, che le due aree dovevano essere sgomberate il 2 marzo. Ma dove sarebbero andate queste persone? I rom, in diverse interviste ai nostri microfoni, hanno parlato chiaro: “Non ce ne andiamo se prima non ci assicurano un alloggio, una vera casa”. Finora così è stato: se avessero accettato il bonus affitti proposto dal Comune di Roma, seppur di notevole consistenza economica, avrebbero perso il posto in graduatoria per avere la casa popolare. E anche questa volta, soprattutto vista la situazione sanitaria in atto, è stato. Siamo oltretutto entrati in zona rossa, anche se il giorno previsto dallo sgombero, lo ricordiamo, il Lazio era in zona gialla.
Da quanto trapela, prima di arrivare agli sgomberi – che ricordiamo riguardano solo una parte del campo e non la sua totalità – passeranno mesi: questa è solo una fase interlocutoria e l’ordinanza è in pratica solo un “pezzo di carta” servito solo a riempire i titoli dei giornali per qualche ora. Nessuno è mai andato a far rendere esecutiva l’ordinanza. Nemmeno quando, venerdì 12 marzo, una frana ha fatto crollare il terreno proprio nell’Area F, rendendo inagibili alcuni dei nuclei abitativi. I rom che vi abitavano hanno rifiutato l’offerta di alloggiare in hotel, preferendo trasferirsi da parenti, sempre all’interno del campo. Il timore è quello di perdere la graduatoria per le case popolari, ragione per la quale non erano state accettate neanche le offerte fatte in passato sempre dal Comune di Roma. A questo proposito, l’unica alternativa che potrebbe allettare i rom tra quelle proposte dall’amministrazione capitolina è una sistemazione temporanea in appartamenti condivisi (due famiglie per abitazione), che consentirebbe loro di mantenere il punteggio acquisito nelle graduatorie per una casa popolare, oltre che di usufruire, al momento dell’assegnazione dell’alloggio, del contributo per l’affitto previsto dal ‘Piano rom’. Ma anche qui c’è un problema: i rappresentati dei rom hanno gradito la proposta, ma non hanno potuto vedere le case, né sapere in quali zone si trovino, cosa che ha bloccato la “trattativa”.
Tutto quindi resta, almeno al momento, come prima, anzi con qualche container disponibile in meno, a causa della frana.
Maria Corrao