«Non è stata fatta giustizia. Perché mia moglie e i miei figli sono innocenti. Sono vittime del mio comportamento.»
Antonio Ciontoli torna in televisione dopo la molto discussa partecipazione a “Storie Maledette” con Franca Leosini, e lo fa per mezzo e voce del megafono offertogli da Selvaggia Lucarelli su “Nove TV”,nella trasmissione “Ultima difesa”. Una intervista preceduta da un collegamento su Radio Capital, che sembra esser stato perlopiù il pulpito da cui lanciare l’anatema contro il “processo parallelo” come lo chiama più volte Lucarelli, processo che sarebbe stato secondo la giudice di “Ballando con le stelle” :«di una violenza inaudita.»
Si scaglia Lucarelli contro alcune tramissioni che a suo parere avrebbero restituito una visione dell’omicidio tesa soltanto alla costruzione di scenari diversi dalla realtà. E dai microfoni di Radio Capital aggiunge, sempre con Ciontoli collegato, che solo nel caso Vannini, il carnefice non lo fanno parlare mentre per altri casi i carnefici hanno parlato e molto. Lucarelli forse non sa o finge di non sapere che Ciontoli e la sua famiglia sono stati invitati sempre dalle trasmissioni additate che lei non cita ma a cui chiaramente allude. Inviti che loro hanno sempre rifiutato.
Lucarelli poi sembra anche far finta di non conoscere le regole dei Media, che pure cavalca con grande sfoggio di presenza tra giornali, radio e appunto televisione. Perché la funzione della stampa, e lei dovrebbe saperlo, è proprio quella di vigilare sulle incongruenze e sulle bugie dette dai politici, dagli operatori economici e appunto, anche di chi è accusato di un crimine.
Dimentica, o finge di dimenticare Lucarelli, che quello che ha attirato la stampa (che fa il suo lavoro) sono state proprio le tantissime non verità dette da Ciontoli fin da subito. Quei microfoni, quelle telecamere e quei taccuini che si sono appropriati del “Caso Vannini” sono stati attirati da queste non verità dette e ripetute, e non soltanto dal dolore immenso che tutta l’opinione pubblica ha provato per Marco, ragazzo meraviglioso barbaramente ucciso in casa di chi doveva per status familiae e per humana pietas protteggerlo e salvarlo.
Selvaggia Lucarelli forse dimentica che fu così anche per Buoninconti, per Parolisi, per Logli e per la Franzoni, cioè per tutti quelli che hanno cercato di spiegare l’inspiegabile con ricostruzioni posticce e fantasiose.
Ricostruzioni come quelle che ha propinato più volte Antonio Ciontoli, parlando di pettine a punta, di attacco di panico e di colpo d’aria e che, lo ricordiamo anche a Lucarelli, ancora a ottobre 2015, cinque mesi dopo l’omicidio di Marco, parlava bellamente alla PM che lo interrogava di un incidente, con queste parole esatte: “Il colpo mi è partito accidentalmente. Nel senso che… Marco era seduto sulla vasca, e chiedendomi di vedere l’arma, perché lui era appassionato, mi sono lasciato convincere. Nella mano sinistra avevo il marsupio. Con la destra ho estratto una delle due armi. Praticamente, nel movimento il marsupio mi stava per cadere e ho stretto l’arma e mi è partito il colpo.”
I Media quindi hanno scritto e narrato delle sue incongruenze. Cosa che in uno Stato di Diritto la stampa “deve” fare, perché è la sua funzione, sancita dall’articolo 21 della Costituzione.
Ma non saranno solo queste le dimenticanze della Lucarelli. Ella infatti propone, nella trasmissione, un ricco pot-pourri di frasi dette da Martina Ciontoli , estrapolate dalla famosa intercettazione ambientale sul divano della caserma di Civitavecchia. Peccato, davvero peccato che non abbia colto anche quelle in cui Martina parla di ciste e di ogiva, indicando sotto al suo seno sinistro la posizione precisa della pallottola che aveva ucciso poche ore prima Marco. Peccato perché una domanda sulla parte di registrazione in cui Martina, piangendo, racconta di aver visto suo papà puntare la pistola e Marco diventare pallido avrebbe potuto esserci. Ecco, quello sarebbe stato uno spunto interessante da rivolgere a Ciontoli, visto che spesso le domande che Lucarelli rivolge all’assassino di Marco, iniziano e prendono spunto da quello che “ha detto Marina”, la mamma di Marco, citata da Lucarelli e usata come “sponda” per ben sette volte in poco meno di un’ora di trasmissione.
Lucarelli poi parla anche di tanti testimoni improbabili che hanno detto solo alla televisione cosa è accaduto quella notte, e purtroppo dimentica anche qui di citare i signori Liuzzi, che invece hanno riferito in Procura quello che avevano sentito e visto e hanno testimoniato a processo su quel colpo, quelle urla di Marco e quella gestione sicura di tutti i componenti della famiglia riguardo alla tragedia che si stava consumando dentro quelle mura. Si dimentica dei Liuzzi Lucarelli, per parlare di altri vicini e altri testimoni con grande dettaglio; ella parla soltanto di quelli non pervenuti al processo, stigmatizzandone il comportamento molto televisivo e poco giudiziario.
E Lucarelli purtroppo non chiede a Ciontoli neanche perché lo ha fatto, perché ha scarrellato e sparato, che poi sarebbe stata forse l’unica domanda da cui partire. Ed arrivare.
E difatti è lo stesso Ciontoli che sembra toglierla dall’impaccio dicendo apertamente che: «il mio comportamento è stato odioso» ma chiedendo però di spiegare quei punti che Marina (sempre lei) dice essere in contrasto con le sue dichiarazioni. E allora eccolo invitato a ritornare sulla circostanza dell’arrivo al Pronto Soccorso della sua famiglia con due macchine. Circostanza evidentemente importante per Ciontoli che torna a rimodulare il racconto, spiegando che quella notte in un’auto c’erano solo lui e Federico e che le donne sono arrivate contemporaneamente nell’altra macchina. Ricostruzione che cozza irrimediabilmente, guarda un po’, con i ricordi di Marina e Valerio.
Rimangono di questo incontro-intervista alcune frasi di Antonio, sparpagliate qua e là in questo processo al processo mediatico targato Lucarelli. Frasi che forse, sarebbero potute esser il centro e non il contorno di una intervista all’uomo Antonio più che all’imputato Ciontoli: «Voglio e devo pagare.» – «Io non sono stato umile credevo fosse una ferita lieve e questa mia convinzione sbagliata ha confuso i miei familiari.» – «Non mi aspettavo questa sentenza che condanna Martina, Federico e Mery. Ho rovinato la famiglia di Marco, la mia e quella di Viola.» – «A volte mi chiedo come fanno i miei figli e mia moglie a rivolgermi ancora la parola. A non abbandonarmi e a starmi ancora vicino.»
Si sarebbe potuto insistere molto di più su questo aspetto umano e intimo, fornendo forse un servizio alla verità secondo Ciontoli, dandogli al tempo stesso anche la possibilità di trasfigurare la sua figura di assassino in quella di un uomo travolto dagli eventi che lui stesso ha determinato. E invece…
Lucarelli riesce a chiedergli addirittura dell’aspetto economico della vicenda e dei rimborsi alla famiglia Vannini, insistendo in particolari sui conti correnti e sul quinto dello stipendio davvero insopportabili e facendosi finanche redarguire da Ciontoli che le dice almeno due volte: «Non mi sembra il caso di parlare di soldi in una vicenda così dolorosa per tutti.»
Lucarelli che per fortuna almeno interviene decisa quando Antonio, quasi alla fine dell’intervista, lascia aleggiare l’ipotesi, in caso di conferma in Cassazione di questa sentenza, di un gesto inconsulto e definitivo. «Questo però no. Così sembra un ricatto morale» gli dice, forse sorpresa anch’ella dalla perentorietà delle parole di Antonio che però conclude senza darle ascolto, parlando più a se stesso che a lei che è lì che lo guarda: «Io non riesco a perdonarmi. E non riesco a non odiarmi.»
Mauro Valentini