Si svolgerà domani mattina la manifestazione “Abbracciamo Capocotta”, organizzata dal gruppo di cittadini che hanno creato la pagina “I love Capocotta” sul social network Facebook.
“Per chi si chiedesse ancora perché manifesteremo il 17 aprile sulla spiaggia di Capocotta, dove sia la verità, se sia stato o meno commesso un abuso, se sia giusto o meno chiamare le ruspe per distruggere un servizio destinato a noi cittadini – spiegano gli organizzatori dell’evento, a cui stanno dando adesione numerosi cittadini, oltre che associazioni ambientaliste – semplicemente per placare la crescente sete di giustizia dovuta principalmente a campagne elettorali e interessi privati, e non per tutelare il nostro benessere e preservare l’ambiente, pubblichiamo il frutto di una lunga ricerca che dimostra come tutto questo sia inutile e controproducente per tutti. Teniamo a precisare che questa relazione è il frutto di una documentazione cartacea che avvalora ogni singola virgola qui scritta e non è basata su facili supposizioni sensazionaliste indotte dai media sulla base di comunicati stampa emanati da uffici stampa”.
Il progetto per la riqualificazione di Capocotta nasce nel 1983 ed è inserito in un quadro più ampio di interventi sul litorale romano, pianificati dall’Ufficio Speciale Tevere e Litorale (oggi non più attivo) del Comune di Roma e descritti nel volume “Progetto Litorale 83”.
Per la sistemazione della spiaggia di Capocotta (all’epoca occupata da circa 20 attività commerciali abusive, che operavano in assenza di autorizzazioni amministrative e sanitarie, prive di allacci alla rete idrica, elettrica e di impianti di scarico delle acque reflue e che, per l’accesso alla spiaggia ed ai servizi, aprivano continui varchi nell’area dunale), è prevista la realizzazione di dieci “…unità di servizio, composte da più elementi modulari … destinate a servizi igienici, magazzino, cucina, bar, infermeria … sistemati a ridosso della duna ogni 300 mt. circa, lungo i 2,5 Km di spiaggia”.
Dopo una lunga pausa dovuta a difficoltà amministrative e conflitti di competenze (che saranno una costante di tutta la storia), nel 1991 la Giunta Regionale del Lazio, con la delibera n. 6040, approva in via definitiva la variante al P.R.G. per la sistemazione della spiaggia di Capocotta.
In questa occasione, la Giunta Regionale, pur esprimendo parere favorevole, “… ritiene sia da segnalare al Comune l’opportunità di procedere all’attuazione del progetto in tempi successivi, realizzando, in una prima fase, la metà delle previste unità di servizio …” e suggerendo che “… in un secondo tempo potrà essere attuata l’intera previsione progettuale”.
Dunque, anziché le dieci strutture previste, ne vengono realizzate soltanto cinque, che vengono finalmente messe a bando nel 1996. Ma questa riduzione del numero di unità di servizio pone un primo problema all’Amministrazione comunale, che è orientata ad ottenere, dagli assegnatari del bando, la fornitura di tutti i servizi essenziali collegati alla balneazione (compreso il salvamento a mare), oltre alla manutenzione, alla guardiania, alla pulizia e alla vigilanza ambientale sulle dune, per l’intero anno solare, a costo zero per le casse comunali (che, anzi, incamereranno un canone annuo), obiettivi che ora dovranno essere raggiunti con la metà delle strutture preventivate.
Per ciascun lotto, l’impresa aggiudicataria dovrà coprire, con i propri addetti, mediamente circa 500 mt. lineari di arenile e di recinzioni, a cui si aggiungono circa 50.000 mq di area dunale da pulire (manualmente!) e da sorvegliare 365 giorni l’anno.
Gli estensori del bando comprendono facilmente che tali oneri non saranno mai sostenibili dagli assegnatari con la gestione delle sole attività di noleggio attrezzature e di un piccolo bar e decidono, all’ultimo momento, di aggiungere nel Capitolato d’appalto, il servizio di ristorazione, che in precedenza non era previsto, come ulteriore fonte di entrate.
“E questo – spiegano gli organizzatori dell’evento di domani – è il “big bang” di tutti i problemi susseguitisi nel corso di questi anni in merito alle strutture, agli ampliamenti, ai presunti abusi. Non basta, infatti, inserire una parola per consentire lo svolgimento di un’attività. Le unità di servizio, già carenti in origine (in quanto nel tempo trascorso tra la progettazione ed il bando sono intervenuti numerosi aggiornamenti normativi), non vengono minimamente modificate prima dell’assegnazione ed appaiono immediatamente inadeguate, sia dal punto di vista normativo che funzionale, allo svolgimento dei servizi previsti dal contratto, non risultando rispondenti alle più elementari norme di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro, sicurezza degli utenti, abbattimento delle barriere architettoniche e per altri requisiti imposti dalle disposizioni di legge vigenti.
In particolare si riscontra la mancanza di: spogliatoi per il personale distinti per i due sessi ed ospitanti docce calde ed armadietti a doppio scomparto per ciascun lavoratore; servizi igienici specifici per il personale addetto alla preparazione degli alimenti, collegati alla cucina mediante un passaggio coperto; uno spazio destinato al transito dello “sporco” (piatti, bicchieri, stoviglie, ecc.) e al lavaggio, nettamente separato ed isolato dalla zona di preparazione degli alimenti; uno spazio destinato allo scarico delle merci; l’utilizzo di materiali specifici per il rivestimento delle superfici nelle zone di preparazione e conservazione degli alimenti; un passaggio protetto da utilizzare per il trasferimento delle materie prime dal magazzino, ospitante i frigoriferi, al locale cucina; la presenza di un’area destinata al servizio di ristorazione, adatta al posizionamento di tavoli e sedie ed adeguatamente protetta dalla sabbia e dalle intemperie; la presenza di camminamenti che consentano ai portatori di handicap di raggiungere i servizi; la presenza di zone d’ombra (indispensabili in piena estate); un deposito di stoccaggio dei rifiuti e dei materiali capaci di svolgere emanazioni insalubri; un ricovero per le attrezzature utilizzate per la pulizia della spiaggia ed, in particolare, per i mezzi meccanici (trattore e vagliatrice), assolutamente indispensabili per garantire tale servizio sull’arenile di competenza di ciascun lotto, esteso, come già detto, per 500 mt. lineari; la presenza di “spazi tecnologici” atti ad ospitare i terminali delle reti impiantistiche e le attrezzature remote (gruppi frigorigeni, gruppi di climatizzazione, ecc.).
A questo va aggiunto che gli impianti di scarico delle acque reflue sono sottodimensionati ed il collegamento alla rete di adduzione dell’energia elettrica non è previsto, sostituito dall’obbligo, per i concessionari, “….di dotare le strutture di servizio di impianto autonomo di generazione, provvedendo alla copertura dell’apparato nel rispetto delle norme di sicurezza”.
Tali gravi carenze, evidenziate anche dai controlli degli enti preposti (in particolare ASL e SPreSAL), sono immediatamente rappresentate all’Amministrazione comunale, che riconoscendo l’esigenza di porvi rimedio, avvia, già nel 1999, l’iter per approvare un progetto di riqualificazione delle strutture che comprenda tutti gli adeguamenti necessari”.
Il progetto, più volte modificato ed aggiornato (anche sulla base delle indicazioni ricevute dall’ufficio VIA della Regione Lazio e delle obiezioni della Commissione di Riserva), pur se reiterato dagli assessori e dai direttori di dipartimento che si sono susseguiti nel corso di ben quattro consiliature, non ha mai concluso il suo iter, rimanendo impantanato nei grovigli e nei conflitti di competenze che gravano sull’area di Capocotta.
“Nel frattempo i gestori, obbligati dal contratto a fornire i servizi e dagli enti di controllo a garantire igiene e sicurezza, provvedono, sempre in accordo con l’Amministrazione, a realizzare le integrazioni e gli ampliamenti indispensabili, utilizzando, per ogni intervento, materiali leggeri (legno, teli, cannucce e mai elementi rigidi come malte e mattoni), assemblati secondo criteri di assoluta amovibilità e precarietà, caratteristica, quest’ultima, resa oggettiva anche dal fatto che è in corso l’approvazione del nuovo progetto, che ne prevede lo smontaggio e la ricostruzione secondo modalità definite – spiegano da “I Love Capocotta” – La trasparenza e la legittimità delle scelte operate dalle imprese concessionarie sono state confermate anche dai giudici del Tribunale che, in diversi processi in cui è stato affrontato il tema degli ampliamenti, hanno assolto i gestori dalle imputazioni di abusivismo, con formula piena. In conclusione, questa prima, generale, descrizione degli eventi, appare utile anche per sfatare una convinzione assai diffusa in merito alla genesi degli ampliamenti delle strutture: la realizzazione dei ristoranti, indicata da molti osservatori come una “colpa” dei gestori, non è mai stata una loro aspirazione, ma un’esigenza dell’Amministrazione, che l’ha sempre ritenuta necessaria per garantire la sostenibilità economica dell’intero progetto.
Per questa ragione, nel Capitolato d’appalto e nel contratto è espressamente prevista l’attività di ristorazione e per la stessa ragione, dal 1999 in poi, i rappresentanti dell’Amministrazione, ininterrottamente e trasversalmente, hanno condiviso le modifiche alle strutture originarie e provato con continuità ad ultimare l’iter di approvazione del progetto di riqualificazione, purtroppo senza riuscirci.
I gestori, dal canto loro, avrebbero accettato di buon grado di lavorare con qualunque tipo di struttura assegnatagli, purché a norma ed idonea a garantire la sostenibilità economica dell’attività.
Per tutti questi motivi, il sequestro attuato l’11 febbraio dalla Polizia Roma Capitale a danno degli ex-gestori, non rappresenta un “ripristino della legalità”, ma uno degli atti più incoerenti ed iniqui mai perpetrati dall’Amministrazione”.