Ormai da un mese, la preoccupazione per i posti di lavoro è riemersa prepotentemente, da quando è stata misteriosamente imballata la macchina per l’inflaconamento degli allergeni, gioiello della produzione Radim, cosa che ha fatto preoccupare i lavoratori, tanto che alcuni temono che nuova proprietà possa spostare in Russia anche i “cloni”, che sono – come spiegano gli stessi dipendenti – la materia prima per produrre in laboratorio l’antigene e l’anticorpo dei Kit diagnostici, svuotando così il know how e il centro strategico della società.
Eppure l’accordo fatto con l’Alkor Bio aveva portato speranza ed entusiasmo, soprattutto dopo l’illustrazione fatta ai 120 dipendenti dal nuovo direttore russo, che aveva pianificato un risanamento del debito ed il rilancio dell’azienda. Ma alle parole probabilmente non sono seguiti adeguati fatti: pare che lo stato passivo del bilancio sia rimasto lo stesso, lasciando quindi ancora l’azienda a rischio fallimento nonostante i numerosi crediti vantati da Radim verso le aziende sanitarie. La situazione finanziaria, sia pregressa che a quanto pare attuale, pregiudica la fiducia delle banche, bloccando la possibilità di avere a disposizione la liquidità necessaria per gli acquisti di materie prime indispensabili alla realizzazione e alla vendita dei kit diagnostici, con l’inevitabile conseguenza perdita di competitività in termini di tempistica che porterebbe alla perdita di importanti commesse e clienti. Già da tempo sono molti i dipendenti in CGIS, ma adesso si teme anche per la sorte degli altri lavoratori, che hanno il sentore che la “Alkor Bio” abbia intenzione di trasferire la produzione maggiore in Russia, lasciando solo un semilavorato di poca importanza a Pomezia, utile per sfruttare il marchio Radim che possiede che, rispetto alla Alkor Bio, offre sicuramente maggiori garanzie per la vendita internazionale rispetto ad una società extraeuropea.
RADIM, LAVORATORI IN STRADA PER PROTESTA
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