La Giornata del ricordo dell’Olocausto di Rom e Sinti è poco conosciuta. La commemorazione delle vittime del Porrajmos ricorda lo sterminio, perpetrato dalle forze naziste e dai suoi alleati, durante la seconda guerra mondiale.
Collocata, in termini temporali, tra il 2 e il 3 agosto 1944, in quella tragica notte furono uccisi e bruciati, nel campo di sterminio di Birkenau, circa tremila rom.
Riconosciuta dal Parlamento Europeo con una Risoluzione datata 15 aprile 2015, il Porrajmos, traducibile come “grande divoramento”, è il termine con cui le popolazioni rom rievocano lo sterminio del loro popolo in epoca nazista.
Raggiunsero il lager con un primo convoglio il 26 febbraio 1943. La “stella nera”, con cui vennero marchiati, li classificò nella categoria degli “asociali”, esentandoli così, nella selezione in entrata, dalla dispersione delle proprie famiglie e dai lavori forzati. Il loro destino, all’interno dello Zigeunerlager, fu un destino di morte per inedia, freddo e malattie. Considerati come “razza degradata” venivano utilizzati come cavie negli esperimenti medici effettuati da Mengele e il suo staff.
Con il delirante comunicato di Hitler, nella notte del 2 agosto 1944, si decretò l’immediata eliminazione di 2897 zingari tra uomini, donne e bambini.
Quella tragica notte del Porrajmos
Uno dei sopravvissuti all’Olocausto, Pietro Terracina, ricorda così quella tragica notte:
“Io non avevo ancora 16 anni e arrivai a Birkenau; quello era un Vernichtunglager (campo di sterminio) dove non è che si poteva morire, si doveva morire. Erano tutti settori separati che si distinguevano per una lettera che era stata loro associata e dall’altro lato del nostro filo spinato c’era il settore che era conosciuto come lo Zigeunerlager ovvero il campo degli zingari[…]. In quel campo c’erano tantissimi bambini, molti di quei bambini certamente erano nati in quel recinto […]. La notte del 2 agosto 1944, ero rinchiuso ed era notte e la notte nel lager c’era il coprifuoco, però ho sentito tutto. In piena notte sentimmo urlare in tedesco e l’abbaiare dei cani, dettero l’ordine di aprire le baracche del campo degli zingari, da lì grida, pianti e qualche colpo di arma da fuoco. All’improvviso, dopo più di due ore, solo silenzio e dalle nostre finestre, poco dopo, il bagliore delle fiamme altissime del crematorio. La mattina, il primo pensiero fu quello di volgere lo sguardo verso lo Zigeunerlager che era completamente vuoto, c’era solo silenzio e le finestre delle baracche che sbattevano”.
Roberta Sconci