Anche se il nuovo anno, almeno in apparenza, sembrerebbe essere iniziato esattamente come il precedente sotto il profilo dell’emergenza Covid in realtà non è assolutamente così. Rispetto allo scorso anno infatti, anche se non ce ne rendiamo conto, le differenze sono evidenti. Basti pensare che lo scorso anno, ancora in queste giornate post Capodanno, l’Italia era tutta in un lockdown di fatto con tantissime restrizioni, dal coprifuoco alle 22,00, fino all’impossibilità di uscire dal proprio Comune o Regione.
Avevamo una cartina dello stivale colorata di rosso nelle giornate di Festa e arancione in quelli feriali. In questi giorni, tranne per le feste di Capodanno ma il che è anche comprensibile, viviamo una situazione completamente opposta e questo grazie ai vaccini. Eppure, in queste prime ore dell’anno, si è tornati a respirare un forte clima di preoccupazione dovuti soprattutto al numero elevatissimo di contagi.
No, non stiamo come l’anno scorso
Posto che, chiaramente, e lo facciamo quotidianamente anche noi (non potrebbe essere altrimenti), i dati vanno forniti, è bene in questo momento non lasciarsi trasportare dall’emotività cadendo quasi nella trappola di credere che, in fondo, “stiamo sempre nelle stesse condizioni”.
Non pensare cioè, che una zona gialla sia la “fine del mondo” quando lo scorso anno avremmo fatto qualsiasi cosa pur di restarci (o tornarci). Quella bianca nemmeno esisteva, figuriamoci. La prudenza ci vuole, per carità, e un pensiero non può che andare a chi non c’è più o chi sta lottando in Ospedale, ma il virus non lo si sconfigge cedendo alla paura.
E quindi no, la situazione non è come quella dello scorso anno. Oggi la fotografia del Paese in numeri è chiara: tanti contagi questo sì (attenzione: in questi giorni stiamo processando un numero anche fino a 10 volte maggiore rispetto a quelli dello scorso anno nel medesimo periodo come accaduto a Natale ad esempio), ma con conseguenze nella stragrande maggioranza dei casi quasi sempre irrisorie per chi contrae il virus da vaccinato (prossoché nulle per chi ha ricevuto anche la dose booster) e gravi, gravissime quasi esclusivamente per chi ha scelto invece di non vaccinarsi, dato che quasi l’80% dei malati Covid in terapia intensiva non è vaccinato.
Venendo ai dati delle ospedalizzazioni al momento in tutto si registrano, al 1 gennaio 2022, 11,265 persone in ospedale e 1,297 in terapia intensiva, numeri che a fine 2020 erano oltre il doppio. Lo scorso anno, oggi, erano stati inoltre 462 i morti: 111 quelli odierni.
Nuovi contagi, ricoveri in terapie intensive, decessi, divisi per fasce di età, relativi all’ultimo mese. La colonna di sinistra si riferisce, contagi, terapie intensive e decessi di non vaccinati relativi a 100.000 non vaccinati. La colonna di destra è lo stesso discorso solo relativo a vaccinati con ciclo completo e dose booster (Fonte dati: Ministero della Salute)
L’intervista con il Professore Luca Andreassi
Proprio per analizzare la questione “numeri” ci siamo rivolti all’Ing. Professore Luca Andreassi dell’Università Tor Vergata.
Professore, fotografiamo intanto la situazione nei numeri mettendo a confronto il Natale 2021 con quello dello scorso anno…
«Lo scorso anno dopo un mese di lockdown generalizzato, con l’economia a picco, eravamo – ricorderete – il fanalino di coda dell’Unione Europea per recessione economica, i ricoverati erano circa 25.000 (oltre due volte quelli di oggi), in terapia intensiva c’erano oltre 2.500 persone (anche qui circa due volte quelli di oggi) e, proprio a Natale, registrammo 459 decessi. Quattro volte quelli di questo Natale. Mi pare che nonostante si continui a fare terrorismo sul numero dei contagi, i vaccini si stanno dimostrando uno scudo straordinario e gli effetti del virus sono estremamente lievi. Cosa che non succede nel mondo dei non vaccinati».
I numeri di questi giorni, specie sui contagi, sono tornati ad alimentare preoccupazione. Siamo tornati alla diatriba tra “catastrofisti” e “ottimisti”?
«Con la partecipazione di una terza categoria: i complottisti, quelli che neanche di fronte all’evidenza riescono a percepire quanto i vaccini proteggerebbero loro e le persone a loro care, esponendo così se stessi e i loro contatti a rischi di salute importante. Ogni fase della pandemia ha avuto degli indicatori numerici più adatti a seguirne l’evoluzione. Oggi la situazione è davvero complessa. Abbiamo due mondi completamente diversi, i vaccinati e i non vaccinati, in cui il virus circola in maniera completamente diversa, con effetti completamente diversi. I vaccinati si contagiano meno e sono a loro volta meno contagiosi, di fatto non hanno particolari conseguenze dal punto di vista sanitario. Il virus tra di loro circola blandamente. A differenza dei non vaccinati, popolazione all’interno della quale il virus riprende vigore con effetti assolutamente deleteri. Basti pensare che quasi l’80% dei ricoverati in terapia intensiva riguarda persone non vaccinate. Per tutte queste ragioni oggi è rischioso fotografare la situazione con un unico indicatore, dal momento che tra i vaccinati si parla di qualcosa di simile ad una influenza, tra i non vaccinati di qualcosa di potenzialmente mortale. Credo che i contagi giornalieri non dovrebbero essere proprio comunicati. Comunicando invece i ricoveri ospedalieri, gli ingressi in terapia intensiva e i decessi. Suddivisi per fasce di età e, soprattutto, divisi tra vaccinati e non vaccinati. Questi credo siano i numeri da seguire. Con buona pace di catastrofisti e complottisti».
Rimanendo in tema di numeri. Una chiave di lettura importante in questi giorni è, da un lato, il numero di tamponi processati in relazione ai positivi individuati (specie se si fanno raffronti con il 2020), dall’altro le “conseguenze” che hanno questi positivi come lei ha sottolineato evidenziando le enormi differenze tra vaccinati e “No Vax” in termini di ricoveri, terapie intensive e decessi. In molti però continuano a confutare questi dati: perché secondo lei?
«Ci sono due categorie. Una è quella a cui appartengono molti no vax. Quelli che possono arrivare anche a pensare che la Terra sia piatta, perché si informano sui siti di disinformazione sviluppando una mentalità complottista e antiscientifica. Quelli che non riescono a capire che se ho 100 contagi tra i vaccinati e 100 tra i non vaccinati, ma i primi sono 5 volte i secondi, significa che l’intensità di circolazione del virus tra i non vaccinati è cinque volte superiore. Con queste persone la possibilità di ragionamento e persuasione è prossima allo zero. Dobbiamo invece parlare agli impauriti, a quelli che sono disorientati da una comunicazione distorta, magari anche dal no vax vicino di casa, che non hanno gli strumenti culturali per capire. E dobbiamo accompagnarli alla scelta giusta, ovvero il vaccino. Certo, mai come con questa pandemia, si è evidenziato un analfabetismo funzionale spaventoso».
Oggi ci troviamo in una condizione di socialità quantomeno accettabile, crede che finalmente si sia imboccata la strada giusta?
«Direi di sì. Anche l’ultimo dispositivo di legge che ha azzerato la quarantena per chi è vaccinato con doppia dose da meno di 4 mesi e chi ha la dose booster e introdotto l’obbligo del super green pass pure per utilizzare il trasporto pubblico, va nella direzione chiara di dire “meno tamponi e più vaccini”. Ovvero, è inutile farsi tamponi per verificare il contagio se si è vaccinati e non si hanno sintomi, ingolfando il sistema sanitario. E’ invece fondamentale vaccinarsi».
Tornando ai vaccini. I numeri e gli indicatori sembrerebbero pendere tutti dalla parte della vaccinazione, compresa la recente accelerazione con le dosi booster. Però stiamo vaccinando sempre (o quasi) la stessa porzione di popolazione dato che lo zoccolo duro dei “no vax” sembra rimanere insensibile per così dire. Questo può essere un problema nel lungo periodo?
«E’ uno zoccolo duro che stiamo scalfendo piano piano. Le ultime norme e la direzione verso l’obbligo vaccinale, di fatto limiteranno, questa popolazione ad un numero contenuto».
Lei ha parlato spesso nelle sue rubriche di “diverse velocità di circolazione del virus” a seconda di dove il virus va a pescare, se tra i vaccinati, dove rallenta fortemente, o tra i no vax, dove al contrario trova terreno fertile. Dal punto di vista scientifico e numerico secondo lei avrebbe senso allora parlare di “lockdown’ solo per i non vaccinati”, magari circoscritto, laddove la situazione dovesse peggiorare?
«Anche qui, è bene fare chiarezza: il cosiddetto lockdown dei non vaccinati in Germania consiste in misure molto similari a quelle che stiamo adottando in Italia con green pass base e super green pass. L’unica vera differenza è che in Germania per le persone non vaccinate è possibile incontrare solo due persone appartenenti a un nucleo familiare diverso dal proprio. Per il resto, i tedeschi hanno adottato il modello 3G, affiancato a quello delle 2G e delle 2G+ (le “G” stanno per geimpft, genesen, getestet, ovvero vaccinato, guarito, testato), quindi in sostanza è esattamente ciò che già si sta attuando in Italia, dove dal 10 gennaio 2022 una persona non vaccinata non potrà più utilizzare il trasporto pubblico, andare a teatri, cinema, musei, mostre, praticare sport di squadra, palestra, piscina, frequentare centri termali, parchi divertimento, sale gioco, accedere ai ristoranti/bar, a stadi o palazzetti. Per aver accesso a tali attività e servizi in Italia è richiesto il super green pass, ovvero si applica il modello delle 2G tedesco».
L’alternativa di cui si parla è l’obbligo vaccinale: sarebbe favorevole?
«Sì sono favorevole, pur comprendendo la cautela con cui ci si avvicina a questa scelta. L’epidemia grave tra non vaccinati rischia di compromettere la tenuta del sistema sanitario, che potrebbe non essere più in grado di fornire cure adeguate agli altri pazienti. Questo è inaccettabile sotto tutti i punti di vista. Ma l’obbligo vaccinale non significa dire ai cittadini:”ora veniamo a prendervi a casa con la forza e vi portiamo all’hub vaccinale”. Bensì dire, come si sta facendo:”se non ti vaccini, lo spettro delle tue attività consentite andrà sempre di più via via riducendosi”. L’ipotesi sul tavolo del governo è quella di stabilire che solo i detentori di super green pass possano aver accesso al proprio luogo di lavoro (per alcune categorie è già così). Ciò equivarrebbe ad introdurre l’obbligo vaccinale a tutti i cittadini in età lavorativa».
A inizio dicembre, rimanendo in tema, lei ha pubblicato un grafico con tre situazioni a confronto partendo dai numeri del Covid in Italia: quella reale, e due ipotesi, una con una popolazione completamente vaccinata, l’altra con nessuna persona vaccinata. Come ha ricavato i dati e quale sarebbe la riproposizione del medesimo grafico a distanza di un mese?
«I dati sono semplicemente delle proiezioni. Dopo aver calcolato il tasso di incidenza per vaccinati e non vaccinati relativamente a contagi, terapie intensive e decessi, ho semplicemente applicato questo tasso a popolazioni o interamente vaccinate o interamente non vaccinate. E il risultato in realtà non stupisce. Se fossimo tutti vaccinati probabilmente in questo momento lei non starebbe qui a farmi queste domande ed io a risponderle perché saremmo riusciti a “raffreddorizzare” il CoVid, per usare un neologismo usato da alcuni virologi».
Il caso del Lazio. Lo scorso anno al 27 dicembre avevamo in Regione 2.802 ricoveri e 301 persone in terapie intensiva. Il 27 dicembre 2021 erano rispettivamente 996 e 135. Anche qui da noi, insomma, la differenza sembra esserci: è così?
«Certamente sì. Il Lazio che ha un comportamento leggermente migliore rispetto al dato nazionale non si sottrae, ovviamente, dalla logica che abbiamo appena descritto. Omicron ha impattato anche nel Lazio. Ma senza grandi effetti per i vaccinati. E questa è l’unica vera notizia».