Nuove strette per fronteggiare la pandemia da Covid-19 con nuove, gravi, ripercussioni sul settore economico. “Il nostro è un settore importante per l’economia locale e nazionale, non si capisce perché i bar, le gelaterie, i pub e i ristoranti devono chiudere mentre gli autobus possono circolare pieni di persone. Abbiamo speso soldi per metterci in regola, per sanificare tutto, abbiamo ridotto il numero dei clienti per poterli distanziare tra loro, abbiamo seguito alla lettera le indicazioni date dai vari decreti, eppure tutto questo non è bastato, perché hanno scelto la strada più comoda per loro, la meno giusta, quella di farci chiudere”. È questo il pensiero dei ristoratori di Pomezia, Torvaianica, Ardea e Tor San Lorenzo. Rispecchia quello della stragrande maggioranza dei ristoratori italiani, disperati per questa nuova stretta giunta con il DPCM del 26 ottobre.
Il nostro viaggio parte da qui.
Economia in ginocchio
Anche se non sono andati a Roma in piazza – almeno fisicamente – condividono la protesta, nella parte pacifica e non negli scontri, dei loro colleghi. “Siamo a terra, abbiamo toccato il fondo, più in basso di così non possiamo andare”, ha dichiarato Sergio Paoloantoni, presidente della FIPE Confcommercio Roma, “Avevamo creduto nella ripresa e per questo avevamo investito tanto per modificare le nostre strutture, sia per adeguarle alla normativa, che in formazione del personale. Ma il 70% del fatturato si fa nelle ore serali e il 50% di quel 70% si fa nel weekend: è comprensibile come far chiudere le attività di ristorazione alle 18:00, per quanto si tenti di reinventarsi con il delivery o l’asporto, sia un colpo talmente duro che non ci si può riprendere”.
Attività destinate a morire, quindi? Abbiamo chiesto a diversi gestori, non solo del campo della ristorazione, perché a pagare le conseguenze del decreto sono anche gli altri negozianti. Andando in giro dopo le 18:00, infatti, si nota che le strade diventano improvvisamente deserte. Non appena le serrande dei bar si abbassano, sembra che un segnale in codice venga passato di persona in persona, anzi, di mascherina in mascherina: la gente torna a casa, strade e piazze si svuotano. Stessa cosa avviene nei centri commerciali. Gli unici posti che si salvano sono i supermercati, dove comunque si avverte un certo calo nell’afflusso dei clienti dopo le famigerate ore 18:00.
Dopo le 18 è praticamente lockdown: città fantasma
Andando in giro dopo le 18:00, infatti, si nota che le strade diventano improvvisamente deserte. Non appena le serrande dei bar si abbassano, sembra che un segnale in codice venga passato di persona in persona, anzi, di mascherina in mascherina: la gente torna a casa, strade e piazze si svuotano. Stessa cosa avviene nei centri commerciali. Gli unici posti che si salvano sono i supermercati, dove comunque si avverte un certo calo nell’afflusso dei clienti dopo le famigerate ore 18:00. Città fantasma insomma, ecco qualche testimonianza dalle Piazze di Pomezia e Torvaianica, passando per i centri commerciali del territorio fino ad arrivare a Castel Romano.
Città fantasma: dopo le 18 in giro nelle piazze e nei centri commerciali non c’è nessuno
La ristorazione
“Cerchiamo di sopravvivere, non scendiamo in piazza, se secondo loro non c’è altra soluzione, noi ci adattiamo, nella speranza che non ci sia un altro lockdown totale: quello sì sarebbe un disastro. Invece, lavorando a pranzo e con il delivery, almeno riusciamo a pagare gli stipendi. Essendo già passati per una chiusura totale, sappiamo bene qual è la differenza: meglio questo che il lockdown, quindi diciamo che voglio vedere il bicchiere mezzo pieno, voglio rimanere il più ottimista possibile per poter ripartire, non appena possibile, con entusiasmo”, ha affermato Andrea Schiano Moriello, titolare del ristorante Schiano Cantina & Cucina di Torvaianica.
Di diverso avviso Stefano Vivarelli, titolare delle pizzerie che portano il suo nome.
“Sicuramente l’impatto è stato forte: forse a causa di una cattiva comunicazione, la gente pensa che alle 18 chiudiamo, quindi comprano il cibo prima, non hanno capito che possono anche acquistarlo dopo quell’ora e portare le cose a casa. Ma il problema più grande è la paura: dopo le 18 la gente non circola più, il coprifuoco è diventato mentale”.
A voi come è andata da quando è uscito il nuovo decreto?
“Abbiamo perso il 50% del fatturato, ma le spese sono rimaste le stesse. Dal 2 novembre abbiamo messo in cassa integrazione 6 dipendenti su 12, un turno completo, perché il lavoro serale praticamente non c’è più. Vorrei sottolineare che alcuni aspettano ancora di ricevere i soldi della cassa integrazione di maggio. I ristoratori con cui mi sono confrontato sono tutti nella stessa barca. Noi ancora riusciamo a sopravvivere perché – essendo sul mare – abbiamo fatto un’ottima stagione estiva. Ma penso a chi ha le strutture che si trovano nell’entroterra, a Pomezia, ma anche a Roma, e quindi non ha lavorato d’estate perché le persone erano al mare: adesso che potevano ricominciare a guadagnare qualcosa si ritrovano invece a fare i conti con questa nuova chiusura. La situazione comunque è tragica, il futuro è incerto, non si possono più fare programmi: questa è la cosa peggiore, stiamo in un baratro che ci crea ansia. Ovviamente in questa condizione nessuno spende. Io sono un italiano medio, credo che come me la pensino tanti altri italiani: ho paura per il futuro, per l’economia della mia famiglia e di tutta la nazione, quindi non spendo, non faccio investimenti, né in piccolo, né tantomeno in grande. Così si blocca l’economia, con la paura”.
Molto tranquillo e ottimista invece Simone Cioccari, il titolare del “Cafè del Mar” di Torvaianica, malgrado la chiusura delle attività (con la famiglia ha anche la trattoria “Sora Delia” e il locale “Talea”) alle ore 18:00.
Niente delivery per lui: “Non lo facciamo, perché la richiesta è minima, preferiamo chiudere. Fortunatamente lavoriamo molto sia la mattina che nel pomeriggio, fino al momento della chiusura. Abbiamo riorganizzato il lavoro adattandolo ai nuovi orari, ci siamo reinventati: io non mi lamento né tantomeno vado a manifestare, perché mi sono organizzato in modo da poter lavorare negli orari che mi sono stati consentiti, con le colazioni, i pranzi, gli aperitivi”.
Quindi lei è contrario alle manifestazioni?
“Sì, secondo me dovrebbero essere evitate queste proteste violente in cui si spaccano vetrine, auto, motorini, anche perché lo Stato si è offerto di aiutare noi commercianti. Se hanno fatto questa scelta è per poterci far fare un Natale tranquillo. Tanta gente, secondo me, sta piangendo a sproposito: basterebbe organizzarsi meglio, io l’ho fatto. Certo, non sono io a decidere il lavoro degli altri, ma secondo me ci sono state delle esagerazioni con queste manifestazioni. Non c’è stato il rispetto delle regole. Almeno per me la situazione è positiva: non ho licenziato nessuno, ho solo ridotto l’orario di lavoro, ma il personale è stato d’accordo con questa scelta”.
La pensa diversamente Gianluca D’Onofrio, titolare del bar “La Grotta”, a Torvaianica. “Chiudendo alle 18 ho avuto un calo di almeno il 20% del fatturato: un po’ di persone anticipano, ma dopo le 18 c’è proprio il coprifuoco, la gente sparisce dalle strade, non c’è più nessuno: è praticamente inutile stare aperti per cercare di fare l’asporto, nonostante io stia nella strada principale e nonostante abbia anche altri servizi, come il superenalotto e il pagamento delle utenze. Non gira più nessuno, quindi dopo qualche giorno di prova ho deciso di chiudere alla 18. Comunque ho notato un certo calo in generale durante tutta la giornata: molti clienti hanno proprio paura. Sinceramente non capisco a cosa serva questa misura, quando nei bar le persone vengono distanziate e poi vedo passare le persone ammucchiate nel Cotral che va a Roma”.
È preoccupato per il futuro?
“Sì, perché il problema grosso è che questo è solo il preludio di una prossima chiusura totale. E calcoli che io sono tra quelli che si possono lamentare di meno: capisco chi, avendo attività che aprono più tardi, non riesco a coprire le spese, visto che i costi fissi restano gli stessi, mentre gli incassi calano”.
“Il problema è che non gira più molta gente: nonostante il mio tipo di lavoro non sia serale – rincara Tony Cristini, titolare del “Bar Giardino” – ma prettamente giornaliero, da quando è uscito l’ultimo DPCM ho notato un calo notevole delle presenze nell’arco di tutta la giornata, perché ci sono meno persone in circolazione: hanno tutti più paura. È un popolo impaurito e impoverito, che non spende e che guarda all’altro con timore. Ormai il messaggio che viene trasmesso è che il contagio è facilissimo, quindi siamo arrivati al punto di guardare all’altro con timore, per paura di prendere il virus. E poi siamo tutti in attesa di aiuti concreti, che nessuno ha visto: io vivo alla giornata, non so più cosa aspettarmi”.
Parliamo anche con i titolari di Gusto 19, ristorante pizzeria a due passi dal mare a Torvaianica.
Cosa ha rappresentato per voi la recente stretta imposta dal Governo?
«Sicuramente è stato un duro colpo. Venivamo già da mesi difficili e queste ulteriori limitazioni rischiano davvero di tagliare le gambe ad un’intera categoria. Noi siamo un ristorante-pizzeria, chiuderci alle 18.00 significa privarci della maggior parte del lavoro».
Ritenete sia stata una decisione giusta imporre questi orari?
«No, e le spiego perché. Il nostro settore, così come per i cinema e i teatri, è uno dei pochi che garantiva un rigido rispetto delle normative anti-contagio: parlando per la nostra esperienza personale abbiamo accessi contingentati, tavoli distanziati, sanificazioni costanti, tracciabilità dei clienti, e così via. Abbiamo investito per rispettare le regole che giustamente sono state messe a tutela della salute. Adesso però è troppo facile “staccarci” la spina, con un provvedimento che colpisce indiscriminatamente tutti. Serviva, a nostro avviso, intensificare di più i controlli e sanzionare magari chi non era in regola, non procedere al livello generalizzato. La nostra categoria doveva essere l’ultima ad essere chiusa, basti pensare a quello che vediamo nelle metro, nei bus, e invece siamo stati i primi ad essere limitati nel lavoro. Non è giusto secondo noi».
Che conseguenze ci saranno dal punto di vista economico?
«Le prospettive chiaramente non sono buone. Siamo preoccupati per noi, per le nostre famiglie e per i nostri dipendenti. I ristori del Governo? Ben vengano ma copriranno più o meno, parliamo per noi chiaramente, forse il 20-25% delle spese che abbiamo ogni mese. E non finisce qui: bloccare i ristoratori significa bloccare un indotto rilevante con uno spaventoso effetto domino».
Voi però non vi arrendete…
«Assolutamente no. Al netto delle nuove difficoltà ci siamo già riorganizzati per continuare a lavorare in tutta sicurezza e continuare ad offrire ai clienti i nostri piatti di alta qualità. Per questo voglio intanto ringraziare tutti quelli che continuano a sceglierci malgrado il periodo sostenendo la nostra attività. L’invito è allora quello di venirci a trovare: anche in autunno, specie col bel tempo, la nostra location a pranzo a due passi dal mare è assolutamente da non perdere. E questo a maggior ragione nel weekend. Dopodiché ci siamo attrezzati anche per le consegna domicilio o l’asporto dopo le 18.00».
Ci sono state nuove restrizioni per bar e ristoranti, qual è il vostro pensiero? Le trovate giuste?
«E’ un momento difficile perché queste nuove limitazioni chiaramente ci limitano molto. Sono decisioni difficili da comprendere: perché se il mio locale è un posto “sicuro” di giorno non lo è la sera? Noi in questi mesi abbiamo investito davvero tanto, destinando (giustamente) molte risorse per garantire ai nostri clienti la piena sicurezza. Tavoli distanziati, costante uso di prodotti sanificanti, informazione alla clientela, accessi contingentati. Non nego che in questi mesi abbiamo rinunciato a dei coperti proprio per rispettare le regole ma va bene così perché sulla salute delle persone non si scherza. Ora però che succede? Che nonostante quanto fatto ci viene imposto di chiudere alle 18.00, e questo non è giusto. Il provvedimento colpisce indiscriminatamente tutti anche chi ha rispettato le regole; magari si potevano intensificare i controlli – sempre dettati dal buon senso e nell’ottica della collaborazione – e intervenire laddove si riscontravano criticità. Così ci rimettono invece tutti. E la sensazione è che, purtroppo, si vada verso misure ancora più stringenti come quelle di un nuovo lockdown».
Come avete riorganizzato la vostra attività?
«Siamo aperti dal Lunedì alla Domenica a pranzo, togliendo il riposo settimanale che era di lunedì. La sera invece ci siamo organizzati per effettuare le consegne a domicilio, senza spese aggiuntive per chi ordina da Pomezia, o l’asporto per il momento nelle giornate di venerdì e sabato. Vedremo poi se estendere il servizio anche al resto della settimana».
I negozi
“Già da qualche giorno prima del decreto c’era stato un notevole calo delle presenze – ci raccontano da Wycon, negozio di make-up e prodotti per la cura della pelle – poi, da lunedì 26, c’è stata un ulteriore diminuzione, ma non eccessiva, vista la già esigua presenza di persone rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente. Senza i bar e i ristoranti aperti, abbiamo un drastico calo delle vendite”.
Può farci un confronto con lo scorso anno?
“Questo è il periodo in cui ci si prepara al Natale, si comincia già a pensare ai primi regali, a cosa si farà durante le feste: per un’attività come la nostra significa un aumento delle vendite proprio a partire da questi giorni, che sono quelli in cui arrivano le nuove collezioni. Se prima l’arrivo dei nuovi prodotti destava entusiasmo e curiosità, adesso invece non c’è più nulla, perché non sappiamo nemmeno se potremo passare il Natale con la famiglia, quindi figuriamoci se le persone hanno voglia di comprare trucchi o regali”.
Hai paura del futuro?
“Sì. Ho 19 anni e non so cosa aspettarmi dal futuro. Passare 8 ore qui dentro senza avere nulla da fare perché i clienti non entrano o non comprano è deprimente. Dopo che abbiamo pulito, rifornito, lavato a terra, non c’è più nulla da fare. Abbiamo degli obiettivi da raggiungere e non ci riusciamo, perché le persone hanno in mente il lockdown e non certo il rossetto”.
La situazione non cambia nel negozio di abbigliamento: da Two Way, nonostante gli sconti del 20%, dopo le 18:00 non si vede nessuno.
“Prima questo era l’orario in cui veniva più gente – ci raccontano – adesso invece ne approfittiamo per fare le pulizie e rimettere a posto la merce. Il decreto ha colpito indirettamente anche noi”.
Diminuito l’afflusso dei clienti dopo le 18 anche da Kasanova, anche se il fatturato qui ancora regge grazie alla svendita.
“Non siamo tranquilli, abbiamo paura che il governo decida di chiudere nuovamente tutto. E stavolta chi è riuscito a fatica, come noi, a tirarsi fuori dal primo lockdown, stavolta non potrebbe uscirne più”, rivela il responsabile del negozio, “Al momento da noi le vendite stanno andando bene, ma solo perché stiamo facendo questa forte svendita. E gli acquisti sono concentrati alla mattina e dopo pranzo. Prima, invece, nel tardo pomeriggio c’era il picco, i clienti arrivavano tutti tra le 17 e le 19:30”. Adesso, invece, alle 18:00 il lavoro cala drasticamente. “Il bar qui accanto chiude e questo ci penalizza molto, le persone poi sono colpite psicologicamente da questo decreto che fissa l’orario”.
Centri commerciali: dopo le 18 non gira più nessuno
Le palestre
Uno dei colpi più duri lo hanno ricevuto le palestre, costrette a chiudere nuovamente nonostante gli sforzi (e le notevoli spese sostenute) fatti per adeguarsi alla normativa vigente.
“Ci hanno fatto chiudere repentinamente la prima volta – dichiara Fabrizio Soldati, titolare di diverse palestre sul territorio, tra cui il Roman Sport City e il Fit Express – e adesso lo hanno fatto in maniera che per noi è stata una vera e propria mannaia, dopo averci dato l’illusione che avremmo potuto continuare a lavorare”.
Conte, nella diretta del 18 ottobre, aveva infatti concesso alle palestre una settimana di tempo per adeguarsi laddove non l’avesse fatto.
“Da noi sono venuti anche i Nas e hanno trovato tutto in regola e conforme a quanto prescritto dal DPCM. Non è certo in palestra che ci si contagia: qui c’è il distanziamento, si sterilizzano gli attrezzi, si rispettano le regole. Infatti la curva non si abbasserà chiudendo le palestre. A livello nazionale non c’è mai stato un focolaio nelle palestre”.
Cosa comporta, economicamente, questa chiusura?
“Difficilmente stavolta si potrà recuperare. Quando abbiamo riaperto, a fine maggio, eravamo a zero. Poi c’è stata una lenta ripresa. Ma quando a ottobre c’è stata la dichiarazione di Conte, in palestra non è entrato più nessuno, neanche a pagare le rate dell’abbonamento. Si è trattato di un terrorismo mediatico terribile. Abbiamo avuto, rispetto all’anno precedente, l’80% di fatturato in meno. Rimarranno davvero pochi, in piedi: io ho ricevuto in tutto un contributo di 2.600 euro, a fronte di perdite, tra quelle già subite e quelle previste, di 1 milione e mezzo di euro, tra affitti e utenze varie. Le perdite sono non solo economiche, ma anche di salute, perché in queste condizioni ovviamente sopraggiunge l’esaurimento nervoso. Io ho perso 12 chili in poco tempo per la preoccupazione che questa situazione ha provocato: non è facile, ogni giorno c’è una novità negativa. La gente è senza lavoro, nel nostro gruppo ci sono 300 persone ‘a spasso’. Hanno ucciso lo sport, che era uno dei modi migliori per combattere il virus, perché un corpo sano reagisce meglio alle malattie. Adesso tutti quei ragazzi che prima andavano in palestra, come impiegheranno il loro tempo? Nelle palestre di certo non stavano ammucchiati e sicuramente facevano attività sane che li tenevano in salute”.