Orrore a Bari dove un bambino di 9 anni è stato trovato senza vita dai suoi genitori con una corda intorno al collo. E’ accaduto ieri, lunedì 25 gennaio. Il bambino è stato trovato nella sua cameretta privo di sensi. Nonostante la disperata corsa dei genitori in ospedale, purtroppo per lui non c’è stato nulla da fare. Al momento l’ipotesi che si sta facendo strada maggiormente tra gli inquirenti è quella legata alle “challange” del social TikTok. Non ci sono davvero parole per raccontare l’orrore di questi “giochi” o “sfide”, che non sono altro che istigazione al suicidio per i bambini e i ragazzi più giovani e fragili.
Se le indagini dovessero confermare questa ricostruzione, si tratterebbe di un caso simile ad Antonella Sicomero, la bambina di 10 anni morta soffocata a Palermo con una cinta.
Il Garante per la protezione dei dati sta seguendo l’evolversi anche di questo caso. Nei giorni scorsi ha disposto a Tik Tok il blocco immediato del trattamento dei dati personali di utenti dei quali non è in grado di verificare l’età.
L’intervista a Guido Scorza
Ai microfoni di iNews24, Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati.
Il Garante della protezione dei dati personali, di cui lei è componente, ha disposto un blocco immediato “dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica”.
“Siamo intervenuti in via d’urgenza sulla vicenda di Tik Tok perché è stata la conferma che minori di tredici anni frequentano un social che è riservato a ultratredicenni. Già un mese fa avevamo mosso delle contestazioni a Tik Tok, proprio in relazione alla mancata verifica dell’età. Quando abbiamo appreso la tragedia di Palermo, abbiamo colto l’occasione per intimare questo social, il blocco del trattamento dei dati personali di utenti dei quali non è in grado di verificare l’età”.
Come si può avere la certezza che venga dichiarata la vera età?
“Questo deve deciderlo la piattaforma”.
Qual è lo scopo di questa decisione?
“Con il provvedimento suggeriamo che si faccia in maniera seria la “age verification”, ovvero la verifica dell’età. Se una piattaforma dice di essere riservata solo agli ultratredicenni, deve anche verificare che questa regola venga rispettata, utilizzando tecnologie a sua scelta. Tik Tok ha questa regola, anche se non è un obbligo di legge e chi si iscrive si aspetta di trovare utenti maggiori di tredici anni”.
Ci sono certezze o no che esiste un legame tra la morte della piccola Antonella e Tik Tok, e in generale con le challenge?
“Non ne abbiamo, ma stabilire questo non è di competenza del Garante della protezione dei dati personali. Tra l’altro sembra in dubbio l’ipotesi che la ragazzina sia vittima di una challenge, ma non sembra in dubbio che avesse un account su Tik Tok”.
Sembra esistere un divario tra il mondo del web ideale e quello reale. Nel primo, ci sono le regole, che implicano limiti di età e di contenuti sensibili. Nel secondo invece, abbiamo l’esatto contrario. Ragazzini iscritti ai social che fruiscono contenuti vietati ai minori. Come si può porre fine a questo divario?
“Il problema è planetario e non riguarda solo Tik Tok o i social, bensì tutto il mondo del web, che è cresciuto e si è sviluppato verso una certa direzione. Il punto di partenza del nostro ragionamento è: se esiste un giardino riservato a un pubblico di ultratredicenni è perché in quel giardino, se entra un ragazzo minore di tredici anni, potrebbe imbattersi in un contesto non adatto a lui. Quindi dal nostro punto di vista, l’aspetto più importante è fare in modo che ogni categoria di utente frequenti un’area della piattaforma adatta alla sua età”.
Esistono al momento dati certi su eventuali challenge pericolose o morali nate su Tik Tok?
“No, ma non le monitoriamo direttamente perché noi ci occupiamo di dati e privacy. Challenge o contenuti pericolosi non rientrano nella nostra competenza, ma in quelle della magistratura, dell’Autorità per le Comunicazioni o la polizia postale”.
Ci sono indagini in corso che accerteranno se il gesto di Antonella sia conseguito da una challenge o meno. Si è già parlato in passato di casi di presunte catene social della morte, ad esempio la Blue Whale, sulla cui esistenza c’è stato un acceso dibattito. Ha senso parlare di queste catene col rischio che generino emulazione?
“Il rischio di emulazione, indubbiamente, esiste. Viviamo anche in un contesto in cui forse gli stimoli e gli esempi da emulare sono alla portata di tutti, compresi i più piccoli. Tutto sommato conviene parlarne nella prospettiva della ricerca di una soluzione, a scopo educativo. Se anche non se ne parlasse, purtroppo i bambini conoscerebbero lo stesso questo genere di contenuti. Non hanno bisogno del giornale o del telegiornale”.
In che modo, secondo lei, i genitori possono mediare tra il mondo del web e i loro figli?
“Ognuno ha il suo approccio educativo. Non credo che (i social ndr.) siano contesti particolarmente diversi da qualsiasi altro contesto educativo. Se la regola è che un minore di tredici anni non può iscriversi a Tik Tok, permettere al figlio di iscriversi significherebbe esporlo ad un rischio. L’approccio educativo migliore sarebbe accompagnarlo nel percorso di conoscenza di queste piattaforme, ma è complicato”.
Il web non ha confini e la questione della privacy è comune in tutto il mondo.
“Le regole ci sono e sono comuni per aree geografiche, anche se non in tutto il mondo. Quelle di cui discutiamo, all’origine del nostro provvedimento sono uguali a Parigi o a Berlino e in tutt’Europa. Il problema vero è l’applicazione delle regole”.
Quindi la colpa di chi è?
“Il primo responsabile è chi diffonde il contenuto. Ad un livello più alto, è un problema di tipo educativo e culturale. I social sono strumenti di comunicazione più o meno neutri rispetto alle condotte. La differenza la fa chi li usa e la responsabilità è nostra e della nostra educazione”.
(Fonte: INews24)