Oggi, spiccava tra gli eventi della bacheca più letta del mondo, Facebook, “Novembre, Mese dell’anziano, dello screening e delle abilità cognitive” creato dalla psicologa e neuropsicologa apriliana Daniela Saurini.
L’abbiamo incontrata per farci spiegare questo evento. – Dottoressa, novembre è il mese dell’anziano? Cosa sta organizzando a proposito? “In realtà non esiste un “ Mese dell’Anziano”, esiste però l’esigenza di dedicare spazio e attenzione ad una fase di vita delicata e troppo spesso dimenticata. L’idea trova le sue radici sopratutto per il ritardo con cui ci si accorge del deterioramento cognitivo che affligge l’anziano e che, inevitabilmente si ripercuote sulla qualità di vita dello stesso e di chi se ne prende cura. Così, si giunge ad una richiesta di diagnosi in maniera tardiva e talvolta impreparati all’evento cosa che sconvolge e che richiede un riadattamento repentino che non sempre è possibile. La diagnosi precoce ci offre la possibilità sia di identificare condizioni potenzialmente reversibili, sia di attuare interventi atti a migliorare la qualità di vita del paziente e dei congiunti. E’ chiaro che, trattandosi di un’attività screening, in questo caso potremo avere una panoramica globale del funzionamento del paziente che potrà tuttavia esserci utile, qualora se ne riscontrasse la necessità, per indirizzare una futura, eventuale, diagnosi.
– Lei sta investendo la sua carriera verso l’età senile, come mai questa scelta? “Durante gli anni di università spesso preparavo gli esami in compagnia di mia nonna. Lei aveva appena la terza elementare e comprendere talune nozioni era per lei piuttosto complicato, proprio per questo fu una grande risorsa perché mi convinse che nell’abilità di far capire a lei quanto esponevo stava la chiarezza utile all’apprendimento. In uno di quei pomeriggi, mentre si discuteva lei mi disse <>. Così mi avvicinai alla Psicologia dell’età senile, entrando in contatto con la realtà del Centro Sperimentale Alzheimer di Genzano e sviluppando nuove capacità diagnostiche e riabilitative. Ivi, ho appreso la validità delle terapie non farmacologiche nel trattamento della malattia di Alzheimer-Perusini. Da tutto questo è nata una consapevolezza e una esigenza di sensibilizzare attraverso ogni mezzo a nostra disposizione.”
– Domanda retorica ma, perchè dobbiamo prenderci cura degli anziani, stando loro vicino? Durante la senescenza esistono tutta una serie di cambiamenti che il soggetto si trova a fronteggiare i quali possono indurre a stati di malessere psicologico che si riflettono sull’intero nucleo familiare. Parliamo di una fase di passaggio che include il pensionamento, la vedovanza, la consapevolezza che la fine della vita si approssima, la percezione di non essere più utili alla famiglia, il senso di solitudine. Talvolta la sofferenza psichica aggrava persino il sintomo fisico e non è raro sapere di pazienti che, una volta istituzionalizzati, si siano lasciati andare. Invece gli anziani, hanno a livello sociale una valenza indiscutibile: il 7% di essi si applica in attività di volontariato con una stima di aumento annuo. Nei casi più gravi, invece, l’assistenza all’anziano è un’assistenza alla famiglia.
– Dottoressa, che rischi corrono psicologicamente? Non è raro che un soggetto anziano, nel riscontro dei tanti mutamenti fisici, sociali e lavorativi che lo interessano sperimenti uno stato depressivo che capita avere l’aspetto di una demenza per via delle dimenticanze che, tuttavia, tendono a riguardare eventi poco significativi: possono dimenticare dove è posizionato un oggetto o dove è parcheggiata l’automobile. Sono soggetti, tuttavia, che riescono a discutere perfettamente degli episodi di dimenticanza che li hanno coinvolti ed è proprio questo un primo indice che ci aiuta ad escludere che si tratti di qualcosa di diverso dalla demenza, insieme ad un adeguata indagine neuropsicologica.”
Parlando di Alzheimer quali sono i primi sintomi e come intervenire per contenere? “Nella fase iniziale della malattia è possibile notare delle difficoltà nella memoria di tutti i giorni: luoghi, appuntamenti, eventi accaduti di recente vengono dimenticati. Accade che tale dimenticanze siano da principio minimizzate ed attribuite ad un’involuzione cognitiva naturale che si associa all’invecchiamento. Ma il paziente presenta dimenticanze sempre più frequenti a cui vanno ad associarsi difficoltà nella denominazione di oggetti e persone, facilità nel perdere il filo del discorso, difficoltà nel calcolo e nel disegno. In questa fase possono iniziare a mostrarsi sporadici episodi di disorientamento topografico: il soggetto non ricorda la strada di casa e si trova costretto a chiedere aiuto ai passanti. In questa fase il soggetto può avere la percezione che qualcosa non va anche se non ha chiaro a cosa ciò sia attribuibile tanto che può svilupparsi una depressione reattiva che, va detto, raramente tuttavia si trasforma in un disturbo depressivo maggiore.
In questa prima fase bisognerà fare i conti con due aspetti: l’informazione del malato, qualora la diagnosi lasciasse presupporre la malattia e lo stato emotivo dei familiari.
Nel primo caso bisognerà porre attenzione al bisogno del soggetto: alcuni preferiscono un colloquio a quattrocchi, altri, al contrario, che sia presente la famiglia per avere un supporto affettivo e morale. Bisogna tener conto, altresì, della capacità del malato di comprendere quanto gli verrà riferito e dei pregiudizi e preconcetti che potrebbe avere in merito alla patologia, così da prevenirne le reazioni. In rapporto ai familiari, la gestione delle proprie emozioni si fa determinante. Molti, pur di assistere il malato, dimenticano i rispettivi sentimenti, ma la rabbia, il senso di colpa, la paura di non riuscire ad offrire al proprio caro il giusto supporto non fanno altro che rendere il vissuto più difficile, pertanto la consapevolezza dei propri limiti si fa fondamentale così come la richiesta di aiuto.”
Marina Cozzo