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Amina, la sua storia commuove tutti… tranne la burocrazia

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Chi si ricorda di Amina? Ne abbiamo parlato già altre volte, di cui l’ultima circa 9 mesi fa: la sua storia fece commuovere e indignare. Amina, 34enne del X Municipio, gravemente malata, vive in un letto a causa di numerosi errori medici.

Non è minimamente autosufficiente e ha bisogno di cure costanti giorno e notte, senza le quali rischia la vita. Eppure, nonostante una sentenza di Tribunale che dà ragione alla famiglia di Amina, la giovane ancora non riesce ad avere un’adeguata assistenza domiciliare, facendo ricadere il peso della cura di Amina interamente sulle spalle dei genitori, che non riescono più ad avere la forza fisica e anche psicologica di farlo senza interruzioni di sorta.

A raccontare la “non-evoluzione” della storia di Amina è nuovamente la mamma Rita Basso, tutore legale della giovane disabile, che sta combattendo la sua dura battaglia contro la Asl per veder riconosciuto il diritto di sua figlia ad avere un’assistenza medico-sanitaria adeguata e specifica, l’unica che le permetterebbe di continuare a vivere.

 

“Oggi – spiega – il nostro problema reale sono associazioni e cooperative autorizzate a gestire le assistenze domiciliari. Al di là del fatto che fino a circa 2 anni fa non mi si voleva riconoscere un’assistenza infermieristica domiciliare h24, il problema vero, oggi, è chi gestisce l’assistenza. Ora vi spiego di fatto cosa accade nella prassi:
La asl, dopo vari incontri e controlli da parte dei medici concede l’assistenza domiciliare infermieristica laddove necessita (anche se non sempre). A quel punto viene individuata una società o un’associazione o una cooperativa preposta per svolgere tale assistenza. Nel mio caso è stato diverso, è stato necessario un bando gara dal momento che per ottenere l’assistenza infermieristica domiciliare mi sono dovuta rivolgere al Tribunale di Roma, vincendo la causa”.

La vittoria, però, non è coincisa con la fine del calvario.

“Fatto il bando – prosegue Rita Basso – è iniziata la “tarantella “ per questo motivo: il modus operandi delle associazioni prevede la copertura di tale servizio con chiunque e con un numero di unità esagerato che di fatto dà a loro la certezza del servizio e di guadagno, mentre a noi una qualità scadente, con in casa un via vai di 15/20 persone al mese anche quando si tratta di una copertura di 10 ore di assistenza giornaliere. In questo via vai, ci sono unità che in un mese potresti vedere 3 o 4 volte o per niente”.

Cosa comporta per Amina e per tutti coloro che soffrono di patologie gravissime come la sua?

“Le problematiche maggiori sono:
1)la poca conoscenza del paziente, quindi la necessità che il caregiver, ovvero il parente che accudisce il paziente, sia sempre presente.
2) non tutte le figure professionali sono all’altezza della patologia, di conseguenza hai un intralcio e non un aiuto.
3) rischi di ritrovarti personale in casa non adatto e che pretende di saper fare, rischiando di fatto la vita del paziente.
4) non è possibile instaurare un minimo di rapporto tra paziente e figura professionale, non c’è continuità anche per quello che necessita realmente al paziente. Mi domando: a che serve tenere in casa un familiare se gli si vieta poi il vero calore della casa, le sue abitudini, le sue certezze?
5) non tengono conto di abitudini o orari del paziente e della famiglia.
6) non sono attenti a non arrecare disturbo, rispettando ogni richiesta fatta dal caregiver”.

Ora cosa sta accadendo?

“Il giorno in cui mi hanno presentato le varie associazioni – ne abbiamo cambiate 3 – ho esposto chiaramente quanto necessita ad Amina, cioè quello che io ho fatto per 34 anni, garantendole la vita.
Puntualmente accettano l’incarico, per poi nel corso dei giorni fanno in modo e in maniera di imporre il loro metodo di assistenza perché “funziona così”, e mi ritrovo ogni volta a lottare contro i mulini a vento. La Regione Lazio e di conseguenza la Asl si ritrovano invece a spendere tantissimi soldi senza dare un’assistenza domiciliare corretta.
Veramente vogliamo diventare cartelle cliniche che producono soldi a favore di chi tutto fa tranne il nostro bene?
Credo che tali associazioni dovrebbero esistere, se proprio devono, soltanto per la ricerca del personale adatto, per poi passare ad un’assunzione diretta, cioè personale assunto per quell’assistenza, così facendo ci sarebbe un numero ridotto di figure professionali, quelle che effettivamente servono per la copertura del servizio”.

Potrebbero esserci alternative?
“Come avviene per le badanti, da parte del Comune di Roma, c’è la possibilità prevista dalla legge di assumere un’unica figura proprio per la continuità dell’assistenza. Perché per una badante questo viene riconosciuto e per un infermiere no? Dove sta la differenza?
Finiamola di dire che quella dell’infermiere è una figura professionale che deve saper far fronte ad ogni necessità perchè non è la realtà!
Un esempio su tutti: Amina vive di coccole, ho avuto un’infermiera che mi ha detto “Io sono fredda, non bacio neanche mia figlia”. Ora mi spiegate per quale ragione io dovrei essere costretta a farle assistere Amina?
Certo non posso pretendere che da oggi a domani vengano cambiate le regole, ma almeno che si inizi a valutare che così com’è improntata ora non può continuare.
Alla luce di questo spero che da domani almeno la ASL RM3 inizi a far capire alle associazioni come si assiste una paziente nel suo domicilio.
#iostoconAmina

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