“In attesa dell’Ama divento un ‘bibliofrigo’. Lascia un libro prendi un libro. Civiltà contro l’inciviltà!”. Le frasi – scritte a penna su un foglio di carta attaccato sul vetro del frigorifero da bar abbandonato in una settimana sono già sbiadite. Ma attirano sempre chi passa sul marciapiede di piazza San Giovanni di Dio. Perché il vecchio rottame è già pieno di libri. I primi sono stati quelli di una bimba bionda di 4 anni. “Io e mia figlia stiamo uscendo per portare libri per bambini che lei ha scelto di condividere”, scrive Giordana appena saputo che lì, nel cuore di Monteverde Nuovo, il gruppo Facebook Monteverde Vera aveva deciso di lanciare un piccolo ‘esperimento di resistenza civile’, sanificando il rottame e infilandoci i primi volumi: un libro di economia, un ricettario di cocktail, un paio di opuscoli sui personaggi del ‘900 e un corposo volume sulla storia della As Roma. Poco dopo arriva la foto del novello ‘bibliofrigo’ con le colorate fiabe della bimba. E il frigo, in serata, si è già svuotato. In pochi giorni il bookcrossing è conosciuto in tutta la zona. Vanno a scrutare i titoli anche i fruttivendoli del vicino mercato (uno si prende le Mille e una notte declamando a sorpresa il titolo in arabo), la vecchina col carrello della spesa sceglie un giallo di Simenon e chiede se ne arriveranno altri. Con un “più si legge meglio è, anche per me…” ha benedetto l’iniziativa Adolfo, proprietario della vicina bancarella dei libri.
Da un gesto incivile un’iniziativa di civiltà
“Ne siamo felici. Buon auspicio poi che una bambina, una cittadina speriamo attiva del futuro, sia stata la prima a rispondere al nostro invito che chiede di trasformare la frustrazione che coglie le persone alla vista di un atto così degradante in una azione di culturale dissenso. Visto il suo successo, speriamo si voglia creare un punto di bookcrossing adeguato in una piazza così centrale”, commenta la promotrice, Elena Monteverde che, poco prima, a suon di ammoniaca, si era data da fare per ripulire il frigo blu. Per tranquillizzare chi paventa che il virus possa covare insidioso tra le pagine, risponde così: “L’interno del bibliofrigo è sanificato e siete tutti invitati a seguire le regole igieniche che conosciamo e a lasciare ‘decantare’ i libri alcuni giorni, magari al sole. Così ‘brilleranno’ del loro sapere ancor di più…”.
Perché i toni da social di Elena Monteverde, admin del gruppo Monteverde Vera, sono così: equilibrati, non aggressivi, sorridenti. “Sono io stessa un ‘esperimento’. Ho fondato questo gruppo proprio per reazione alla deriva da sfogatoio che si incontra ovunque. Per dare energia costruttiva al mio quartiere. Per un paio di anni ho offerto delle lezioni di yoga gratuite a Villa Pamphili in cui facevano anche baratto di oggetti e libri. Poi ho cercato di aprire una banca del tempo: in un mese abbiamo iscritto una cinquantina di persone, ma il municipio non ha trovato uno spazio per ospitarla. Ci riproveremo, però…”, spiega questa 52enne monteverdina ‘vera’, con quel vera a richiamare la radice indoeuropea “vr”, per ciò che risplende. Come un giorno di primavera. Quello in cui – in una piazza già ferita dalla baraccopoli in cui è ridotto l’ultimo dei grandi mercati rionali di Roma non ancora riqualificato (progetto approvato, mancanza di fondi) è comparso quel frigorifero alto due metri, accanto a un materasso.
Peraltro l’area rifiuti del mercato è transennata a pochi metri di distanza, in un caos maleodorante di cassette e la raccolta pubblica dei rifiuti ingombranti, che qui si teneva periodicamente, è stata spostata nella periferica via Eudes, vicina al centro di raccolta di Corviale (“ma perché?” si son chiesti i cittadini rigirando la domanda sulla pagina Facebook del Municipio XII). “Hanno anche visto chi è stato, il negoziante di….” dice un passante che si ferma davanti al frigo comparso notte tempo, il 26 marzo scorso, a masticar rabbia sotto la mascherina. Come tanti altri che passano.
Una signora, spazientita – e ancor di più alla vista di quella donna che armeggia con le spugnette – scatta la foto segnaletica da inviare all’Ama. Elena Monteverde fa appena in tempo a non essere immortalata. Pare davvero voglia portarsi a casa l’ingombrante elettrodomestico…
“Te sei fatta er frigo eh?” le dice avvicinandosi un arzillo 70enne che prende poi a raccontar di come, proprio qui, negli anni ’50, ci fossero le “casermette”, le baracche degli sfollati di guerra poi rimosse quando venne costruita la via Olimpica. “Da quella parte era tutta campagna” ricorda Claudio, rievocando i pasoliniani tempi di “Ragazzi di vita”, lui ragazzino a fare le sassaiole con i “grattacielini” dei palazzoni popolari di Donna Olimpia. “Nelle casermette si stavano pure le mign…. e là il cinema Le Terrazze con le ballerine”, dice Claudio indicando il palazzone grigio topo a losanghe bianche che seppellisce il ricordo di quel cinema che, 60 anni fa, si affiancava peraltro ad altri due: il Felix poco più avanti sulla circonvallazione Gianicolense e l’Ariel, in via di Monteverde, ora sala giochi. Una immagine di povertà, quella delle casermette (ma pure di ben tre cinema nel raggio di 1 km quadrato), quasi impossibile da immaginare ora in questo quartiere di media borghesia, afflitto però da altre povertà, che il virus ha ora fortemente aggravato: economiche certo, ma anche sociali e culturali, ammorbate dai germi dell’individualismo, del corporativismo e della mancata apertura di spazi sociali. Qualche associazione stringe le forze in una saletta parrocchiale annunciando che, dopo il Covid, si ripartirà. Altre si concentrano già sugli interventi di pulizia dei giardini pubblici. “Bene comune” è la parola magica che forse potrà instillare fiducia. Nessuno oggi – tra chiusure, redditi prosciugati e forzati dello smartworking – certo si ricorda che, in via Fabiola, c’è anche il primo esempio di scuola al mondo trasformata dai suoi studenti in museo, School01. Ma anche prima non è che Monteverde se ne volesse accorgere. Ante pandemia la scuola si apriva il sabato pomeriggio alle visite del territorio. Pochissimi (giusto genitori e nonni) a partecipare.
Il bibliofrigo e gli altri rifiuti
Ecco allora che il “bibliofrigo” tenta di ricordare bisogni essenziali. La necessità di dare spazio a creatività, spirito comunitario e iniziativa sociale. E, mentre va riempiendosi di nuovi titoli, tra i commenti del gruppo Monteverde Vera, compaiono le misure per delle mensole (prese dalla proprietaria della galleria d’arte Art Sharing e promotrice di “Monteverde Cultura”) e c’è chi chiede di “istituzionalizzare” il bookcrossing, magari come spazio fisso nel nuovo mercato. L’assessore alla cultura scrive asciutto: “Lo proporrò”. Si diletta poi in un commento sardonico Carlo: “Allora adesso andrà così: frigorifero abbandonato = libreria. Lavatrice = teatrino burattini. Materasso = sosta lunga. Divano e poltrone = sosta breve. E così via! Che bisogno abbiamo degli addetti alle pulizie delle strade?”. Per la cronaca: un divano – di pelle, a tre posti – è comparso per davvero sul marciapiede del bibliofrigo. A quando la prima biblioteca a cielo aperto di Roma?