In 43 sono stati rinviati a giudizio perché ritenuti una propaggine della ‘ndrangheta che operava nella Capitale, come loro stessi si definiscono in un colloquio intercettato dagli inquirenti. Da questo il nome della maxi-inchiesta denominata proprio ‘Propaggine’, che lo scorso anno ha portato all’arresto di 43 persone nel Lazio e 35 in Calabria.
Un’organizzazione autorizzata dalla ‘ndrangheta calabrese
Un’organizzazione, autorizzata dalla ‘ndrangheta calabrese, come riporta La Repubblica, con una struttura ben precisa, fatta di capi e subordinati. Tra i componenti della compagine romana c’era anche Antonio C. che dopo aver trascorso 13 anni di carcere anche in regime di massima sicurezza, era stato arruolato nell’organizzazione. Sia quest’ultimo che Vincenzo A. sono ritenuti dai procuratori che hanno coordinato le indagini della Direzione distrettuale antimafia, al vertice della struttura malavitosa, capaci di riproporre metodi e linguaggio dei boss calabresi.
Le intercettazioni che hanno incastrato le 43 persone coinvolte
I capi di indagine sono supportati da una serie di intercettazioni che confermano l’organizzazione nel quale sarebbe stato ingaggiato anche un amico dei due principali indagati che avrebbe dichiarato in una conversazione con Alvaro C.; ‘Hai aperto un bel locale a Roma… sei come il Papa oggi’. Per gli investigatori sono fondamentali le conversazioni nelle quali emerge anche il termine che poi ha dato il nome all’inchiesta: ‘A Roma siamo una propaggine di là sotto’. Discorsi che il gruppo capitolino faceva a tavola, in alcuni ristoranti romani. Un’asserzione che conferma che si tratta di un’appendice della ‘ndrangheta di un paese calabrese il cui sindaco è finito nel mirino degli inquirenti.
Ottenuto il rinvio a giudizio la Procura di Roma è ora pronta a presenziare al processo a carico dei 43 indagati che prenderà il via nel Palazzo di Giustizia di piazzale Clodio a Roma a partire da settembre. Un iter processuale che verrà celebrato davanti all’VIII sezione penale del Tribunale capitolino.