Dopo 32 anni dall’omicidio di Simonetta Cesaroni potrebbe esserci davvero una svolta nelle indagini grande a intercettazioni choc che sembrano dare una nuova luce alle indagini che sembravano ormai giunte a un vicolo cieco e avevano fatto ritenere che non si sarebbe mai arrivati a trovare l’assassino della giovane trovata morta nell’appartamento al civico numero 2 di via Poma, nell’ufficio degli Ostelli, nel quale lavorava, con 29 coltellate.
Le intercettazioni
In una relazione di 32 pagine dell’Antimafia sulla morte di Simonetta Cesaroni emerge una intercettazione che sembra davvero dare una svolta alle attività investigative. Più persone, tra il pomeriggio e la sera del 7 agosto del 1990, già sapeva che in quell’ufficio c’era un cadavere. Un dialogo registrato che avrebbe avuto luogo diverse ore prima della scoperta del corpo della segretaria.
Si tratterebbe di conversazioni che risalgono a marzo del 2008, ma sconosciute finora, potrebbe davvero dare risposte sul delitto di via Poma. La commissione Antimafia è convinta che “nell’appartamento teatro del delitto sono intervenute più persone nei momenti o nelle ore immediatamente successive alla consumazione del crimine”.
Nelle intercettazioni si sente: “Nell’ufficio degli Ostelli c’è una persona deceduta”. A parlare sono la moglie e il figlio di Mario Macinati, factotum dell’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, datore di lavoro di Simonetta. La donna dice anche di aver ricevuto più telefonate da un uomo che diceva di chiamare dagli ostelli e chiedeva di mettersi in contatto con Caracciolo. In una seconda telefonata l’uomo avrebbe parlato di “una persona deceduta”.
Chi è la misteriosa persona autore delle telefonate?
La Commissione è convinta che a chiamare potesse essere stata solo una persona che sapeva, ossia che era entrata nell’ufficio, aveva trovato il cadavere e aveva deciso di non dare l’allarme, ma probabilmente intendeva prima di tutto avvertire Caracciolo. Da questo si evince che non poteva essere stato Pietrino Vanacore, il portiere della palazzina che si è ucciso poco prima di andare a testimoniare contro l’ex di Simonetta, a scoprire il corpo della ragazza.
È stato poi il figlio del factotum , Giuseppe Macinati, a dichiararsi pronto a collaborare e sottolineare che quelle telefonate erano arrivate nel tardo pomeriggio e non in serata. Dalle risultanze investigative si legge che ci fu “un’attività post delictum volta a occultare il fatto omicidiario o a differirne la scoperta o persino ad attuare un qualche proposito di spostamento della salma dal luogo nel quale è stata poi rinvenuta”. Viene anche evidenziato come “resta ragionevole credere che l’omicida fu persona che aveva un notevole livello di dimestichezza con lo stabile, se non proprio con l’appartamento. Si deve essere trattato di persona che poteva contare su un rapporto di confidenza con la vittima o che era in grado di approfittare della fiducia di Simonetta o quantomeno, in via subordinata, di non indurla in sospetto o in allarme, trovandosi a tu per tu, in situazione di isolamento”.
Gli elementi a carico dell’assassino
Resta l’idea da parte degli investigatori che l’omicida sia di gruppo sanguigno A, un convincimento che nasce dalle analisi svolte sul sangue ritrovato sulla maniglia della stanza dove è stato trovato il cadavere. Si pensa che l’assassino si sia ferito nella colluttazione con Simonetta. Si tratta di tutta una serie di elementi che riaprono il caso sulla morte di Simonetta Cesaroni e che potrebbero portare effettivamente a una svolta nelle indagini, riuscendo così a risalire finalmente a distanza di 32 anni all’autore dell’omicidio della giovane segretaria degli Ostelli.
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