Personaggio di spicco della Banda della Magliana, ma anche collaboratore di giustizia dal 1994. In queste ore si infittisce il misero sulla notizia della morte di Antonio Mancini, soprannominato ‘Accattone’ e anche ‘Zio Nino’. Una notizia smentita dallo stesso Mancini che ci ha scherzato su: ““Dicono che sono morto a 85 anni Pertanto c’ho altri dieci anni assicurati”, visto che al momento ha 75 anni.
La notizia della morte di Mancini
Martedì 2 gennaio la notizia del decesso dell’esponente di spicco dell’organizzazione criminale romana. Il nome di Mancini che dagli anni ’80 è stato legato a fatti di cronaca come il delitto Pecorelli, il sequestro di Aldo Moro e l’agguato a Enrico De Pedis, ha anche fatto rivelazioni importanti dagli inquirenti da quando, 30 anni fa ha deciso di diventare un collaboratore di giustizia, fornendo informazioni anche sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.
L’errore è stato presto chiarito: a morire Luciano Mancini
Il mistero sulla presunta morte di Antonio Mancini è stato chiarito. Ad essere deceduto è stato Luciano Mancini, 88enne anche lui membro della Banda della Magliana, conosciuto come ‘Er Principe’. E se l’Accattone ha precisato: “Non sono morto”, il figlio di Luciano Mancini, Massimiliano, solo qualche ora fa, nella notte tra il 2 e il 3 gennaio, ha fatto sapere: “Sulla morte di mio padre c’è stato un errore di comunicazione”.
Come mai Antonio Mancini ha scelto di diventare collaboratore di giustizia
Antonio Mancini, all’interno dell’organizzazione criminale aveva il ruolo di ‘drizzare i torti’, ossia di persuadere eventuali debitori morosi, mentre Luciano si preoccupava di reinvestire i soldi provento di attività illecite. ‘Zio Nino, nato a Pescara è cresciuto a San Basilio a Roma, e solo alla fine degli anni ’70 ha deciso di legare il suo nome alla Banda della Magliana, fino ad aprile del 1994 quando ha deciso di collaborare confidando agli inquirenti: “Immediatamente dopo la mia cattura, avuta contezza delle dichiarazioni di Maurizio Abbatino e del livello elevato delle conoscenze al quale erano giunti gli organismi investigativi, ho trovato la necessaria determinazione per rompere in maniera definitiva con l’ambiente criminale nel quale sono vissuto sin dai primi anni settanta. Verso questo ambiente – a seguito di mie vicissitudini personali legate, da un lato alla mia lunga carcerazione e dall’altro all’aver constatato che, progressivamente, erano state ammazzate, in circostanze che oggi reputo “strane”, persone come Franco Giuseppucci, Danilo Abbruciati, Nicolino Selis, Angelo De Angelis, Edoardo Toscano, Gianni Girlando e lo stesso Renato De Pedis, con le quali avevo intrattenuto fraterni rapporti – avevo maturato un profondo senso di delusione che non esito a definire di schifo”.