Continuano le indagini sulle cooperative gestite dalla moglie e dalla suocera dell’Onorevole Soumahoro. Tuttavia, al momento, le casse della cooperativa Karibu sono vuote, così come i conti della suocera, della moglie e del cognato dell’Onorevole. Non è stato dunque possibile riuscire a sequestrare, come ordinato dal gip, i 640 mila euro nell’ambito dell’inchiesta in cui ai vertici della cooperativa viene contestata l’evasione fiscale.
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Il caso Soumahoro e il ricorso al Tribunale del Riesame
Il provvedimento non è stato visto di buon grado dalla moglie del deputato, Liliane Murekatete, il cui legale ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame. La moglie di Soumahoro, inoltre, si è rivolta ai giudici del Riesame anche per contestare la misura interdittiva che le è stata applicata. Invece, i legali della madre, Maria Therese Mukamitdindo e del fratello, Michel Rukudo, stanno attualemte valutando se impugnare l’ordinanza del giudice per le indagini preliminare del Tribunale di Latina.
L’udienza davanti al Gip
Come riportato da Repubblica, davanti al Gip la suocera e il cognato di Soumahoro si sono avvalsi della facoltà di non rispondere: ‘Abbiamo della documentazione fiscale e contabile da esaminare. Abbiamo appena acquisito gli atti’, ha dichiarato. Anche la moglie dell’Onorevole si è avvalsa della facoltà di non rispondere e nel cercare di dimostrare la propria estraneità alle accuse, la donna ha presentato tutta la documentazione medica sulla sua gravidanza e degli screenshot dei messaggi utili, a suo avviso, a provare che nel periodo incriminato non era in grado di gestire la cooperativa.
Le indagini della Procura di Latina
Numerosi i fascicoli che restano aperti da parte dei magistrati pontini. Tra questi, ci sono le ipotesi di raggiri da parte delle coop dei familiari di Soumahoro per ottenere fondi pubblici o ancora, frodi relative a servizi resi ma ben diversi da quelli oggetti degli affidamenti per arrivare fino alle condizioni nelle quali erano lasciati i migranti. Sotto osservazione anche il denaro che gli indagati avrebbero inviato nel loro paese d’origine, ovvero in Ruanda.
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