Marco ha finalmente avuto giustizia. E, insieme alla famiglia, uno dei più felici è sicuramente lui, Mauro Valentini, co-autore insieme a mamma Marina Conte del libro “Mio figlio Marco – La verità sul caso Vannini”. E proprio Mauro ha scritto questa lettera aperta, per esprimere i suoi sentimenti in merito alla condanna nei confronti di Antonio Ciontoli e dei suoi familiari. Non un articolo, questa volta, ma una lettera, dove il sentimento prevale sul mestiere. Perché Marco, grazie a quei mesi passati fianco a fianco con Marina Conte e a papà Valerio Vannini, è un pochino anche figlio suo.
«Cara Direttrice.
Cara Maria.
Ieri si è compiuto l’ultimo atto di quello che è stato il calvario di due genitori per ottenere Giustizia.
Ieri la Cassazione ha sancito che Marco Vannini, giovane meraviglioso di soli 20 anni, è stato assassinato dall’intera famiglia che lui credeva fosse anche la sua. La famiglia della sua fidanzata.
Gli aspetti giudiziari sono noti a molti e anche tu, insieme a me, hai seguito questa vicenda e le tante, troppe assurdità di un iter giudiziario che era fin dal primo giorno palese ma che per ricondurlo alla logica che ieri la Cassazione ha sancito, ha attraversato cinque gradi di giudizio e montagne di carte.
Eppure era tutto chiaro. Fin dal primo momento.
Io con Marina, la mamma di Marco, ho scritto un libro un anno fa, un libro che ha raccontato Marco come era, Marco vivo. L’amore che quel ragazzo sapeva infondere in chi lo ha conosciuto e soprattutto ho voluto narrare la storia meravigliosa e tragica di una famiglia perbene, di una famiglia che tutti noi meriteremmo di avere: La famiglia Vannini.
Io, insieme a mamma Marina e papà Valerio però, ho anche raccontato su quelle pagine le assurde giustificazioni fornite (ora lo posso scrivere) dagli assassini di quel ragazzo, dei depistaggi perpetrati da tutti fin dal primo momento, dalla prima telefonata.
Chi in questi giorni si è stracciato le vesti nella vana richiesta di ascolto dopo sei anni dallo sparo, parlo di Martina e Federico soprattutto, i figli di Antonio Ciontoli, hanno detto che loro non avevano compreso la gravità. Che non sapevano. Che sono stati vittime di un padre che li ha indotti all’errore.
Io voglio solo ricordare che quegli stessi attori di quella scena del crimine maledetta, hanno parlato tra loro, inconsapevolmente intercettati, del proiettile visibile sottopelle sotto la costola di Marco, hanno sviato le domande degli infermieri intervenuti dopo un’ora dallo sparo, hanno parlato di “colpo d’aria” e di attacco di panico, hanno in tutto e per tutto sostenuto una spiegazione paterna così assurda che ha però retto in un giudizio davanti a una Corte della Repubblica. Un giudizio che poi la Cassazione, la Suprema Corte ha cancellato ieri.
Cosa rimane, quali sono cara Maria, le riflessioni su questa storia, asciugandola dal penoso strazio di due genitori costretti a correre da un tribunale ad un altro per veder sancita l’ovvietà della ragione?
Io penso che questa vicenda abbia insegnato a tutti che costruire un pool difensivo fatto di avvocati rampanti che inducono i loro assistiti imputati a cavalcare il paradosso di giustificazioni indecorose e senza una logica, non paga. Alla fine non paga negare l’evidenza, questo speriamo si sia capito una volta per tutte.
L’assunzione delle proprie responsabilità sarebbe stata la strada Maestra, non solo per onorare la vita e la memoria di un ragazzo dolce e buono come Marco, che gli assassini dicevano di amare come un loro figlio e che addirittura una di questi voleva sposare. Ma avrebbe indotto chi indagava a una lettura diversa delle loro azioni. Avrebbe consegnato alla memoria di tutti i fatti per quello che erano e che sono stati sanciti ora. E non escludo anzi, sono convinto che avrebbe prodotto una condanna diversa da questa.
Anche io, in questi giorni, sono stato fatto oggetto di pressioni da parte degli assassini di Marco, forse ai loro occhi sono colpevole di aver scritto con Marina la Verità, la verità sul caso di Marco Vannini. Non ho risposto, non sono caduto nel tranello.
Ho avuto una lezione di vita da Marina e Valerio. Ho conosciuto Marco attraverso i loro occhi e esser ormai “parte” della famiglia Vannini per me è un regalo che non merito ma che accolgo.
Ti porto i loro saluti, il loro ringraziamento attraverso il tuo, il nostro giornale a tutti i nostri concittadini che sono stati vicini a Marco e che hanno sperato che la Giustizia facesse il giusto percorso.
Ieri ero in Cassazione con loro. E un po’, con me e con loro, c’era tutta la società civile, quella che pensa ancora che la Stato ti è vicino, non è nemico di chi soffre e di chi è vittima».
Mauro Valentini