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“Umberto Maddalena”, il nuovo racconto di Nicola Genovese

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Stavolta non è fantasia, ma realtà. Ricordi di un’adolescenza dolceamara: alla morte del padre, Nicola Genovese – autore del romanzo “Il figlio del prete e la zammara” – viene portato dalla Sicilia a Firenze, nel collegio degli orfani dei militari del’Aeronautica.

Un’esperienza che forgia il carattere di Nicola, lasciando un segno indelebile e dando forma all’uomo che è pi diventato.

Ma ecco il suo racconto.

Umberto Maddalena non è solo il nome del famoso e valoroso Ufficiale dell’Aeronautica insignito di tre medaglie d’argento al valore militare, ma è anche il nome dell’Istituto di Firenze sede per molti anni del collegio militare per gli orfani di Guerra.

Avevo appena 12 anni quando per la prima volta giunsi con mia madre alla stazione Ferroviaria di S. Maria Novella di Firenze. Era la prima volta che mi allontanavo dalla mia Sicilia. Un mondo nuovo e una nuova vita mi aspettavano. Incontrammo due altri ragazzi della mia età: Lucio Valentini e Renato Ferrari.

Anche loro si recavano al Maddalena, accompagnati dalle mamme.

Lucio veniva da Brescia, mentre Renato dalla Calabria.

Le nostre mamme subito simpatizzarono e trovarono alloggio per la notte dalle Suore di via dei Calzaioli, nel centro di Firenze.

Davanti alla stazione prendemmo un filobus che ci lasciò all’incrocio con la salita di Montughi.

Allora non c’era collegamento con la località dove sorgeva il collegio. A piedi e con i nostri bagagli ci avviammo lungo la faticosa salita che portava alla nostra meta.

Ricordo e ricorderò sempre la valigetta di Lucio di cartone stampa coccodrillo; ridicola portata da lui!

Sulla destra notammo tante persone che stavano consumando sul prato il loro veloce pranzo.

Erano i dipendenti della NET, lo stabilimento dove veniva stampata la Nuova Enigmistica Tascabile.

Dalla fine degli anni ‘50 e per tutto il decennio successivo la NET ha pubblicato dischi a 45 giri che erano allegati alla rivista.

Dopo un’ultima fatica giungemmo finalmente in Via S. Marta 3. Era la nostra destinazione.

Sul cancello scuro d’ingresso non c’era scritto “…lasciate ogni speranza o voi che entrate”….! No!

Molti di noi nel varcare quel cancello hanno trovato una ragione di vita, il loro futuro e una “nuova famiglia” legata da un comune destino.

Le nostre mamme avevano perso i mariti con “l’ala infranta” nell’ultima guerra e loro erano rimaste con il “cuore a pezzi”.

Le confortava l’Istituzione dell’ONFA–Opera Nazionale Figli Aviatori che si prendeva cura di noi.

Varcammo l’ingresso e percorremmo un vialetto in ghiaia circondata da aiuole. Nessuno parlava, eravamo tutti tristi. Si sentiva solo il rumore della ghiaia smossa dalle nostre scarpe.

Poche scale ci separavano dal “parlatorio”.

Sulla destra della vetrata un’insegna riportava il nome di “Istituto Umberto Maddalena”.

Fummo accolti da ufficiali e sottoufficiali in divisa.

Ci presero in consegna per assegnarci la nostra squadra di appartenenza, l’aula di studio e la camerata.

Consegnammo i nostri pochi indumenti intimi al “guardaroba”, costituito da un enorme stanzone con alle pareti tanti ripostigli aperti con il nostro nome e un codice identificativo.

In men che non si dica ci spogliammo dei nostri abiti civili e indossammo la divisa interna costituita da pantaloni di fustagno, camicia grigio chiaro e maglione blu.

 

Ritornammo in parlatorio, dove c’erano ad aspettarci le nostre mamme.

Le salutammo con un nodo alla gola e poi fummo accompagnati nella sala mensa per il pranzo.

Dopo qualche ora un pulmino militare accompagnò le mamme alla stazione, dove ripresero il treno per ritornare a casa.

I primi giorni trascorsero per prendere conoscenza degli orari di studio, ricreazione e per fraternizzare tra noi.

Una parte del nostro collegio era confinante con quella dei seminaristi. Non ci incontravamo mai, tranne in occasione di qualche partita di calcio che immancabilmente perdevano.

Accanto c’era un campo di pallavolo e uno di pallacanestro. Su un lato un lungo porticato che

conduceva da una parte alla mensa e dall’altra, tramite una scaletta interna, alle aule di studio e alle camerate.

Quando una squadra subiva una “punizione” veniva portata lungo il porticato a marciare su e giù per il tempo inflitto dall’istitutore.

Così venivano chiamati i sottoufficiali che erano predisposti al nostro controllo e che si alternavano in turni settimanali.

Ogni sabato era prevista la doccia e il cambio della biancheria. Era un “pellegrinaggio” nella zona dei seminaristi. Andavamo per squadre, nudi, con un asciugamano legato intorno alla vita.

Se a volte incontravamo lungo i corridoi i seminaristi qualcuno lasciava cadere l’asciugamano tra le risate degli altri compagni.

Immancabilmente il Rettore del seminario si lamentava con il nostro comandante il quale rispondeva: “Sono ragazzi, e anche se seminaristi non credo si debbano vergognare della loro nudità”.

Ricordo che ci lamentavamo per l’acqua troppo calda o troppo fredda quando andava bene, poiché a volte cessava di scorrere.

Questa era uno “spaccato” della vita del collegio che ci ha insegnato a convivere e superare da soli gli ostacoli che inevitabilmente la vita ti riserva.

Frequentavamo le scuole medie all’interno del Collegio, mente per le superiori ognuno sceglieva il corso di studi più consono alle sue attitudini e alla volontà.

La frequentazione di scuole esterne apriva un nuovo mondo e nuove amicizie.

Adesso l’austero edificio ospita l’Università degli studi di Firenze, Facoltà d’Ingegneria.

Firenze è stata una bella esperienza, che si è conclusa per me e i miei amici a Cadimare dopo il trasferimento avvenuto nel 1958.

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Questa breve esperienza di Firenze l’ho voluta scrivere nel giorno della Festa della Donna proprio per ricordare le nostre mamme e le nostre sorelle.

E’ un invito a tutti gli ONFINI affinché non scordino il nostro passato. Ognuno ha il compito di portare avanti con impegnola nostra opera.

Aiutiamo i nostri attuali presidenti dell’ONFA e dell’Anceao.

Roma, 8 Marzo 2019

Nicola Genovese

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