Tra i prodotti enogastronomici più conosciuti di Roma, troviamo il supplì. Il famoso fagottino di riso al sugo e mozzarella, è una vera prelibatezza della cucina romana e in particolare del fritto capitolino. La sua celebrità lo ha reso, soprattutto negli ultimi anni, anche più famoso di un’altra frittura tipicamente romana: il baccalà fritto. Su questo piatto, oltretutto, nella nostra Città vivono numerose varianti, che deliziano i palati di residenti e soprattutto turisti.
Il piatto principe della cucina romana: il Supplì
Anche questo fritto, come tanti altri piatti, vede una lunga storia alle proprie spalle. Storie enogastronomiche che, come nei grandi piatti italiani, trova anche adito in leggende popolari vissute dalla cittadinanza romana. Le origini di questo piatto, come potrebbe far intuire il nome, risale addirittura alla cucina francese. Tutto ruota a quel cuore di mozzarella, o formaggio, all’interno di quel panzerotto di riso: infatti il termine originario, di lingua francese, del piatto era “surprise”.
La composizione del supplì: una ricetta sempre in evoluzione
Attorno al supplì, la ricetta classica è stata stravolta. Non solo a parere dei cuochi che la cucinano, ma anche con varietà che compaiono nelle varie località cittadine dove si va a mangiare. Il classico supplì, come vorrebbero i grandi chef italiani, è con base riso, cuore di mozzarella rigorosamente laziale e il ragù (di quello fatto come le nostre nonne). Almeno a Roma, poi ci sono le varianti che strizzano l’occhio alle revisioni enogastronomiche: quello con la ‘nduja dai sapori più calabresi; l’amatriciana fatta nel rietino; il gusto “carbonara” proposto dai vari locali capitolini.
Chi portò il supplì in Italia?
Se c’è un papà spirituale del supplì, quello potrebbe essere considerato Napoleone. Quando scese in Italia con le proprie truppe, intorno alla fine del Settecento, questo era uno dei piatti che girava tra le truppe napoleoniche. Sicuramente diverso da come lo concepiamo oggi, i militari erano soliti gustare un timballo di riso con un cuore di formaggio filante. Proprio questa presenza, a molti inaspettata, creava la sensazione di “sorpresa” e felicità attorno a questa pietanza tanto povera quanto gustosa.
La declinazione linguistica del supplì: dal latino al francese
Come la ricetta culinaria ha avuto profonde rivisitazioni nella propria vita, anche la parola ha vissuto un’evoluzione. Si è partiti infatti da termine “surprise”, che nei secoli è cambiato in surprisa. Poi, grazie al linguaggio vissuto dai ceti popolari, la parola è diventata più rozza con il termine supprisa. Proprio la parlata dei popolani francesi, portò al troncamento della parola, trasformandola in “supprì”. Da quel momento, il passo è stato breve per l’arrivo in Italia, e a Roma, della parola come oggi la conosciamo: supplì.
Chi cucinò per la prima volta il supplì?
Era il 1870, quando all’interno di un menù per la prima volta venne presentato il supplì. A inserirlo nel proprio catalogo di piatti, seppur in maniera rudimentale, fu la storica Trattoria della Lepre. La parola viene considerata come femminile, venendo scritta all’interno del menù con la dicitura “La supplì”. La scelta linguistica e fonica, declinò la parola con la stessa declinazione francese, considerato come in quella lingua significava “sorpresa”.
La cultura popolare attorno al supplì
Ma perché il supplì è entrato nella cultura popolare italiana, rimanendo per oltre cento anni tra i fritti più amati? Molto semplice, attorno si è creata una vera cultura pop. Non solo il fantastico sapore di questa pietanza romana, ma anche l’immaginario collettivo di un fritto che potesse rimanere presente nelle abitudini dei più giovani. Quanti fidanzatini romani, tra gli Anni ’70 e ’80, si recavano in pizzeria per chiedere i “supplì al telefono”? Tanti, in primis i nostri genitori. Il fagottino diviso in due, ovvero le cornette, con la mozzarella filante nel ruolo di “filo telefonico” che teneva collegate le parti. Storia, romanticismo e genio culinario romano.