Sbrattare, un termine romanesco per quantificare una persona che si trova in preda a un attacco di vomito. Almeno a Roma, lo troviamo utilizzato soprattutto tra i giovani, in particolare poi quelli che in una notte di movida hanno consumato tanto alcol e arrivano a vomitare nei pressi di locali notturni o discoteche. In diversi contesti, si può parlare anche di “sbratto” dovuto a un’intossicazione alimentare o per aver mangiato troppo.
Il termine “sbrattare” a Roma: un salto nel mondo dei Millennials
Chi nasce negli Anni ’90 e ha avuto la fortuna di vivere il mondo delle grandi comitive romane, ha sicuramente incrociato il termine dello “sbratto” in diversi contesto. Era quello delle grandi serate alla famosa discoteca del Centro Storico, dove si riportava gli amici a casa all’alba del giorno dopo e li si pregava di “non vomitare” all’interno della propria macchina dopo le loro prime sbronze della vita.
“Non sbrattare, sennò ti faccio pulire tutta la tappezzeria”
Se siamo stati giovani con il vizietto delle notti alcoliche insieme alla propria comitiva, una delle frasi più famose era: “Non sbrattare, sennò ti faccio ripulire la tappezzeria”. Di solito chi lo esclamava era l’amico sobrio, quello che non beveva mai e aveva il compito – morale – di riaccompagnare a casa gli amici “alticci” a fine serata.
In questa esperienza tra misericordia, vomito e arrabbiature, era accompagnato dalla figura della “crocerossina”: di solito era l’amica del cuore, che non bevendo si ritrovava ad assistere gli amici malconci dal consumo molesto di alcol durante serate, feste e party privati.
“Occupato, sta a sbrattà!”
La figura dello sbratto, almeno nelle vecchie comitive degli Anni ’90, era particolarmente legata alla festività del Capodanno. Quella della casa affittata insieme agli amici, il fuoco del camino, la chitarra in mano, tante chiecchiere e una marea di alcol.
Celebre tra gli universitari romani, lo “sbratto di Capodanno” tuona nelle prime ore dell’anno nuovo. In una casa dove c’è un unico bagno, e hai urgenza materiale d’andarci, ci sarà sempre un amico – maschio la maggior parte delle volte – che pronuncerà le fatidiche parole: “Occupato, sto a sbrattà!”. Una condizione che, cronometrata, può tenerlo al bagno addirittura per ore… In caso si fosse addormentato.
“Non me lo fa vedè, che sbratto”
Il termine “sbrattare” è strettamente correlato alla romanità, ovvero quell’atteggiamento capace di rendere comici anche delle situazioni particolarmente complesse. In caso di un incidente domestico e una ferita sanguinante riportata, nelle aree popolari e soprattutto nelle case dedicate alla residenza pubblica, spesso ci troviamo a sentire l’espressione: “Nun me fa vedè sta ferita, che sbratto”.
A pronunciarla, di solito, una donna. Ma non per maschilismo, ma solo perché la romanità ha le sue tradizioni. Adulti o bambini, chi si fa male va sempre e anzitutto dalla mamma, persona che – anche col figlio sessantenne – sarà suscettibile anche a una puntura di zanzara. In alternativa, al suo posto possiamo trovare le zie (che devono vivere allo stesso stabile), le vicine di casa o addirittura la compagna di vita.
Quando si “sbratta” a Roma?
Come detto, il romano è teatrale nei suoi atteggiamenti. Forse anche più del cittadino napoletano. L’esclamazione “me vie da sbrattà” cala facile sul tavolo, in caso di avvistamenti d’insetti particolarmente brutti, miasmi (magari provenienti da flatulenze o forte odore di sudore), un cattivo mangiare a tavola tra casa e il ristorante.
Il termine “sbrattare” è nella quotidianità. Lo commentiamo sui disservizi nel territorio di Roma, come le Metro, quando la calca e i cattivi odori ci fanno sentire male. Quante volte, in simili episodi e con lo stomaco che si contorce, abbiamo pensato: “Mo alla prima fermata scendo per andà a sbrattare”.