IL LIBRO DI GIORDANO TRADITO DALLA TRASPOSIZIONE CINEMATOGRAFICA\n\n
RECENSIONE: LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI
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IL LIBRO DI GIORDANO TRADITO DALLA TRASPOSIZIONE CINEMATOGRAFICA\n\n
Con molta pubblicità e con le sirene della Mostra di Venezia, è arrivato l’atteso film di Saverio Costanzo, “la Solitudine dei numeri primi”.\n\nIl film è tratto dal bellissimo libro di Paolo Giordano, che tanto aveva impressionato critica e pubblico alla sua uscita, vincendo il Premio Strega ed il Campiello, ma, lo diciamo subito, non crediamo che il film avrà lo stesso palmares del libro.\n\nQuello che nella storia originale era una solitudine nella mente dei personaggi, è tradito da una ricerca della solitudine più fisica, con i personaggi che appaiono come due pazzi, mentre nel libro pazzi non sono, ma solo vittime di qualcosa di più grande di loro.\n\nVengono infatti quasi messi in secondo piano i motivi del triste addivenire a “numeri primi” dei protagonisti, Mattia e Alice, sfruttandone più il pathos immaginifico, a scapito del peso sulla mente dei due ragazzini.\n\nEd è proprio sull’immagine che il film lavora, con ampie e bellissime citazioni a Dario Argento ed a tutta la letteratura trasferita al cinema di Stephen King, quasi il deus ex machina del regista, che si avventura in scene con grande abuso di nebbie, maschere e pioggia scrosciante, in un richiamo ad “IT” che non convince.\n\nE il lavoro sui corpi degli attori appare così violento da rendersi disturbante, con Alba Rochwacher che è stata fatta dimagrire dieci chili, mentre Luca Marinelli ingrassa di quindici solo per gli ultimi dieci minuti orribili ed interminabili del film.\n\nI due attori ce la mettono tutta per salvare il salvabile, ma mentre Marinelli non ha la classe che occorrerebbe per elevare un personaggio così mal scritto, la Rochwacher è sublime, quasi un film nel film nel suo incedere verso la follia e nel mostrare i difetti fisici della povera Alice.\n\nBrava e bella nella sua ostentazione della maturità, anche qui esageratamente fisica, è Isabella Rossellini, nel ruolo doloroso della mamma di Mattia, che trasmette con dolce credibilità la sofferenza di un figlio che non comunica.\n\nBello anche il piccolo innesto di Filippo Timi nel ruolo di un clown animatore, riconoscibile dalla voce più che dagli occhi, una voce che noi consideriamo la più teatrale tra quella degli attori italiani.\n\nSaverio Costanzo non ci aveva entusiasmato con il suo esordio di tre anni fa quando con “In memoria di me” aveva gelidamente affrontato il tema della vocazione clericale, ma qui ci indispettisce addirittura per la sua goffaggine e presunzione visiva, in questo non aiutato dall’autore del libro Paolo Giordano, che firma una co-sceneggiatura che ci auguriamo abbia almeno letto una volta. Quello che riesce a Costanzo è riprendere Torino, città turisticamente troppo sottovalutata, nella sua magica atmosfera, nei palazzi maestosi e nei colori dei Giardini del Po. Troppo poco per esser film.\n\nMAURO VALENTINI