Gli antichi romani eccellevano nell’ingegneria, non solo applicata al campo militare. Meno nella cultura, che però ereditarono molto bene dai greci. La prima cosa che salta all’occhio, nell’osservare le opere ingegneristiche romane, sono le strade. Chilometri e chilometri di strade precedevano gli eserciti in viaggio verso zone lontane. I nemici cominciavano a capire cosa stava per succedere loro quando intravedevano operai in lontananza intenti a costruire le vie di comunicazione. Ciò facilitava il rifornimento degli eserciti. Questa è stata, tra le varie, la chiave del successo della Roma Imperiale. Ma non è tutto. Le qualità rispetto a questo campo dei romani, venivano ovviamente utilizzate per migliorare lo stile di vita dei cittadini.
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Gli acquedotti. Il capolavoro dell’ingegneria romana
Maestosi e ieratici canali, che attraversavano intere regioni al fine di portare acqua fresca nelle città. Coi mezzi dell’epoca, viene da chiedersi come facessero i romani a costruirli. Semplice; con una combinazione di genialità ingegneristica e l’impiego di strumenti rudimentali ma efficaci. Gli addetti ai lavori passavano molto tempo a studiare la conformazione del terreno e, successivamente, a pianificare l’angolazione dei canali al fine di sfruttare la forza di gravità. Questo è il principio fisico dell’acquedotto. Ciò, ad ogni modo, era importante anche per la resistenza dell’opera nel tempo. Per l’allineamento veniva impiegata la groma. La dioptra era utile per la misurazione angolare, il chorobates, che era una specie di livella, determinava la pendenza del terreno. Una parte degli acquedotti era sotterranea, protetta da erosione e intemperie. Si scavava il terreno, rivestendo i fori con l’argilla al fine di renderli impermeabili. L’acqua, una volta giunta in città, veniva immagazzinata in serbatoi denominati castellum. Da qui l’acqua veniva distribuita ad abitazioni e bagni pubblici mediante tubi di piombo. Il motivo per cui molti di questi acquedotti hanno resistito alla prova del tempo, è abbastanza banale. È stata la scelta del materiale a risultare determinante, e anche questo dimostra l’eccellenza dei romani in tempa di costruzioni. Venivano scelti elementi come pietra, mattoni e cemento vulcanico.
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Il funzionamento dell’acquedotto romano
Gli acquedotti erano dotati di cavità interne dove le acque venivano non solo raccolte, ma anche sottoposte ad una grossolana purificazione, sia in entrata che in uscita. Lo specus, il condotto principale, era fatto in muratura con guarnizioni ante litteram fatte di una amalgama impermeabile di calce e laterizi. Lo specus solo in alcuni tratti si presentava a cielo aperto. La maggior parte delle volte era sotterraneo. Era prevista anche la manutenzione, mediante tombini dotati di scale e portelloni. I percorsi sotterranei erano dotati di cippi numerati, al fine di far orientare gli operai specializzati. Il processo di manutenzione era estremamente importante, per questo si poneva una certa attenzione nel rendere accessibili le strutture. Numerosi erano i problemi che i tecnici dell’epoca si trovavano a fronteggiare. Primo fra tutti la criticità determinata dalla pressione; nei canali adibiti al flusso d’acqua spesso si creavano valli o depressioni.
La tecnica del sifone inverso
Per risolvere la questione si usava il sistema del sifone inverso. Tramite una torretta posta alla fine dell’avvallamento, si consentiva all’acqua di scendere e risalire dalla parte opposta grazie alla pressione accumulata durante il tratto in discesa. Certamente c’era da considerare che le tubature erano composte da terracotta, ceramica o piombo, ed è per questo che gli acquedotti non erano in grado di sopportare carichi elevati. Questo costituisce il motivo principale per cui gli ingegneri preferivano lunghi percorsi per costruirli, scegliendo aree dove il territorio si prestava maggiormente alle necessità in fase di realizzazione. Alla fine del suo percorso, l’acqua finiva in un ‘castello’ (castellum, ndr), dove era presente la vasca di decantazione terminale e delle bocche che consentivano la ripartizione dei liquidi verso l’urbe. I castelli erano inoltre oggetto di decorazione, infatti venivano valorizzati da fontane monumentali a celebrazione della fine del viaggio dell’acqua.