“Nel recinto del santuario di Nemi cresceva un albero da cui non era lecito spezzare alcun ramo. Soltanto uno schiavo fuggitivo, se ci fosse riuscito, poteva spezzarne uno.
In questo caso egli aveva il diritto di battersi col sacerdote, e, se l’uccideva, regnava in sua vece col titolo di re del bosco, rex nemorensis. Secondo l’opinione degli antichi, questo ramo fatale s’identificava con quel ramo d’oro che Enea colse per invito della Sibilla prima di accingersi al suo periglioso viaggio nel regno dei morti. Si credeva che la fuga dello schiavo rappresentasse la fuga di Oreste e che il combattimento col sacerdote fosse una reminiscenza dei sacrifici umani offerti un giorno alla Diana Taurica”. (J. Frazier, “Il ramo d’oro” ed.1973 p.10).
Lo spettacolo teatrale, molto suggestivo grazie alle atmosfere create da musiche appropriate, dall’uso di maschere che ricordano tratti somatici italici, etruschi, greci – l’umanità insomma, che doveva animare il “latium vetus” – e grazie soprattutto al ritmo dell’azione che si dipana lento, di una lentezza arcaica ormai perduta nel momento delle offerte alla divinità e incalzante nel momento di lotta tra il rex Nemorensis ed il nuovo pretendente, nel precipitare di Ippolito con tutto il carro nel Canale di Corinto, e ancora lento e penetrante nel mostrarsi della dea triplice – Natura, Luce e Nascite – cattura il pubblico. In modo colto e divertente il regista Gherardo Dino Ruggiero, con il suo “ Carro de’ Comici”, racconta e divulga uno dei miti fondanti la civiltà laziale, fatta poi propria dai Romani. Uno dei miti poco conosciuti e ancor così vivo nella memoria degli abitanti del luogo – basti pensare che ai cavalli (Ippolito) ancora è proibito entrare nell’area sacra alla dea – così come ancora raccontano i vecchi del luogo.
Gherardo Dino Ruggiero