Torna puntuale il nostro appuntamento settimanale con i racconti di Nicola Genovese, autore del romanzo “Il figlio del prete e della zammara”.
Questa volta si tratta di un giallo ambientato nella borgata romana da leggere tutto d’un fiato. Buona lettura!
“Il portiere investigatore”
Aladino era un portiere di origine indiana che si occupava di un grande condominio alla periferia di Roma, formato da tre edifici contigui.
In totale doveva provvedere alla pulizia di 9 scale, tre per ogni edificio.
Un alveare umano. Vi abitavano circa 90 famiglie di ceto popolare.
Ogni edificio aveva dei portici con colonne, dove i graffitari avevano disegnato diversi scorci di Roma: il Colosseo, S. Pietro e il Tevere.
Non c’era dubbio… di essere a Roma, anche se nell’estrema periferia abbandonata.
Aladino aveva un duro lavoro da svolgere, senza considerare tutte le “consulenze gratuite” che doveva dare ai suoi numerosi inquilini.
Era un “sensitivo” e aveva la grande dote di percepire i segnali provenienti dall’esterno. Inoltre dava consigli sulla salute e sulle proprietà terapeutiche di molte spezie indiane come il cardamomo, la curcuma, lo zenzero, il cumino ecc.
In quella numerosa comunità c’era di tutto. Donne, bambini, ragazzi, vecchi, ladruncoli, spacciatori e lucciole.
Quando avvenivano furti o scippi, nessuno voleva ricorrere alla polizia. Chiamavano sempre Aladino. Come “detective” riusciva sempre a scoprire gli autori.
Un grosso colpo lo fece quando una famiglia di uno stabile fu costretta a lasciare per qualche settimana la casa dove vivevano.
Erano dovuti partire per la Sicilia, dove la mamma del capo famiglia era stata ricoverata in gravissime condizioni in ospedale.
Aladino riuscì a sventare il blitz di alcuni immigrati che volevano entrare nell’appartamento momentaneamente chiuso.
Aveva da qualche giorno notato un uomo con il figlio che si aggirava nel porticato dello stabile. Si era avvicinato per chiedere cosa volessero. Dissero che stavano cercando un appartamento in affitto.
Aladino rispose che erano tutti occupati. Si allontanarono, ma lui aveva fiutato i loro “odori”. Avvisò subito il “Comitato dei Residenti” che da tempo si era organizzato per difendere le loro proprietà.
Tutti gli raccomandarono di stare all’erta e di avvisarli di qualsiasi movimento sospetto.
La notte stessa Aladino percepì strani rumori provenienti dal piano dove c’era l’appartamento chiuso.
Avvisò subito a mezzo cellulare alcuni membri del Comitato, che subito intervennero e sventarono il furto degli intrusi.
Aladino riconobbe dall’odore i due uomini ancora incappucciati.
Furono accompagnati fuori dal condominio e pestati a dovere.
Quando avvenivano degli scippi, e accadeva spesso, Aladino veniva chiamato e riconosceva dall’oggetto rubato l’autore del furto, che veniva “invitato” dal Comitato a restituire la refurtiva.
In un edificio del Condominio viveva da sola Gloria, una bella ragazza di origine rumena che intratteneva i suoi “ospiti” con prestazioni sessuali a pagamento.
Tutti la conoscevano, ma la lasciavano tranquilla, poiché operava con molta discrezione.
Le avevano raccomandato che se fosse successo qualche cosa e fosse intervenuta la polizia, l’avrebbero espulsa dal condominio.
Aveva venti anni, era alta, bionda, con occhi celesti e un bel seno prosperoso.
Il suo fondoschiena non era da meno.
Nonostante tutti la conoscessero, quando passava non potevano fare a meno di girarsi. Specie d’estate.
Usciva con una camicetta scollatissima e una minigonna chiara vertiginosa attraverso la quale s’intravedeva la perfetta anatomia del suo “lato B”.
Purtroppo un giorno successe quello che tutti i condomini non si auguravano che accadesse.
La ragazza rumena aveva conosciuto un suo connazionale.
Le piaceva e spesso andava a trovarla.
Credeva di aver trovato l’amore della sua vita.
Già pensava di cambiare vita e con i risparmi accumulati di ritornare insieme nella sua città: Bucarest.
Voleva aprire una piccola attività e avrebbero vissuto felici e contenti.
Ma il destino era stato beffardo con la povera Gloria!
Una sera d’inverno, pioveva e tirava un forte vento.
Venne a trovarla il suo solito amico rumeno.
Le aveva portato dei bignè alla crema di cui lei era golosissima.
Dopo averne mangiato qualcuno si sdraiò nuda sul letto in attesa di fare l’amore.
Lui si era recato in bagno per prepararsi all’incontro sessuale.
Ritornò nella stanza da letto, ma lei si era già assopita.
Il forte sonnifero che le aveva messo nel dolce aveva già fatto effetto.
Si alzò e prese tutti i soldi che lei teneva in un nascondiglio che lui aveva individuato.
Subito dopo si recò in cucina e si mise un paio di guanti di lattice.
Aveva pronto un filo bianco della corrente, quello che si usava una volta intrecciato.
Lo passò delicatamente intorno al collo della povera sventurata.
Prese le due cime, le avvolse intorno alle mani e tirò forte fino a quando Gloria buttò dalla bocca una schiuma bianca.
Quando fu sicuro che la donna fosse morta si levò i guanti.
Indossò il suo trench scuro, il cappello da pioggia impermeabile e silenziosamente scese le scale. Si allontanò dal condominio.
Erano le tre di notte e non incontrò nessuno nel suo tragitto.
Era certo di aver commesso un delitto perfetto. Aveva prestato molta attenzione a non lasciare alcuna traccia. Anzi tutti gli oggetti che aveva toccato li aveva ripassati con un fazzoletto.
Tutte le mattine Aladino portava a Gloria il Messaggero.
Bussava, lei apriva la porta, lo faceva accomodare e gli preparava il caffè.
Così fece quella mattina, ma nessuno venne ad aprirgli.
Insospettito, chiamò alcuni membri del Comitato che accorsero sul posto. Bussarono ripetutamente, ma inutilmente.
Uno di loro andò a prendere una lastra per radiografia e passandola nella fessura tra la serratura e la parte fissa riuscì ad aprire la porta.
Lo spettacolo era raccapricciante. La donna giaceva nuda con il cappio ancora al collo e la bocca piena di schiuma.
Aladino, da buon “detective”, disse agli altri di non toccare nulla.
Aveva visto i guanti di lattice buttati per terra a un lato del letto. Chinandosi aveva notato una rottura all’altezza del mignolo della mano destra. Pensò subito che, nello sforzo di tirare con forza i fili, in quel punto aveva ceduto. Annusò quel punto per sentirne l’eventuale “odore umano”.
Chiamarono subito la polizia. La scientifica analizzò tutte le impronte sul corpo, sui guanti e sul filo. Analizzò anche parte della schiuma mista e tracce di crema che aveva rigurgitato.
Individuò subito che conteneva un potente sonnifero.
L’ispettore di polizia interrogò i presenti e in particolare il portiere Aladino.
Raccontò cha da circa un mese Gloria aveva una relazione con un suo connazionale rumeno. Quella sera non aveva notato nessuno che fosse entrato o uscito. Era domenica e non era di servizio.
L’ispettore gli raccomandò di tenersi a disposizione per un interrogatorio in caserma. L’indomani fu convocato. Gli furono mostrate le foto segnaletiche di molti rumeni, e ne individuò uno che gli assomigliava.
Dopo due giorni fu rintracciato e condotto in caserma.
Lo interrogarono, ma lui negò ogni addebito. Anzi, con la complicità di un amico al quale aveva promesso una lauta ricompensa, si creò un alibi: fece testimoniare l’amico che la sera incriminata era stato a casa sua.
In caserma era presente Aladino, che con una scusa si era avvicinato per “annusarlo”.
Il rumeno fu rilasciato con l’intimazione di non allontanarsi da casa.
Fecero annusare nuovamente il guanto al portiere.
Non ebbe alcun dubbio: i due odori erano uguali.
Aladino, da buon “detective”, ricostruì la scena del delitto.
“Il rumeno aveva portato alla sua amica dei bignè, di cui alcuni ripieni di crema mista a un potente sonnifero.
Lei voleva fare l’amore e si era stesa nuda sul letto. Lui intanto era andato in bagno. Il sonnifero aveva già fatto effetto. Si era diretto in cucina per infilarsi un paio di guanti di lattice, quelli usati per lavare i piatti.
Poi aveva tirato fuori dalla tasca del suo trench il filo della corrente e l’aveva strangolata.
Un guanto, quello destro, aveva ceduto all’altezza della cucitura in corrispondenza del mignolo e aveva assorbito al suo interno delle tracce.
Costatarono che nella parte esterna del mignolo c’era un evidente segno di ecchimosi.
Tutti questi elementi e il buon “fiuto” di Aladino erano sufficienti per inchiodare il presunto assassino.
L’indomani il sospettato fu nuovamente convocato. Dopo la minuziosa ricostruzione del delitto da parte della Polizia e il pressante interrogatorio durato fino a notte inoltrata, il rumeno confessò il suo delitto.
Aladino si prese un solenne encomio da parte del Commissario, che scherzosamente lo nominò suo “detective di fiducia”.
Nicola Genovese
Il romanzo di Nicola Genovese “Il figlio del prete e la zammara” è reperibile su Ibs libri, oppure richiedendolo direttamente all’editore Aulino Tel.3284793977 oppure via e-mail:info@Aulinoeditore.it