Un elefante fa capolino al Centro di Roma, a Piazza della Minerva. Nulla a che vedere con il Mammut di Rebibbia, tanto decantat da Zerocalcare. A pochi metri dal Pantheon sorge infatti un obelisco del IV sec. a.C., raffigurante un elefantino decorato, sul cui dorso sorge un obelisco. È conosciuto notoriamente come Obelisco della Minerva, ma sapevi che il nomer corretto, in realtà, sarebbe Pulcin della Minerva? Scopriamo insieme perché.
Cos’è il Pulcin della Minerva?
L’obelisco della Minerva è uno dei nove obelischi egizi di Roma, collocato nella piazza della Minerva, nello spazio antistante alla Basilica di Santa Maria sopra Minerva. L’obelisco è posizionato sulla groppa di un elefante marmoreo, scolpito da Ercole Ferrata su disegno del Bernini nel 1667. L’intero complesso monumentale è popolarmente noto anche come il Pulcin della Minerva: “pulcino” nel dialetto dell’epoca stava per “porcino”, riferito all’elefante “per le dimensioni ridotte e le forme rotonde”.
Questo piccolo obelisco è composto di granito rosso ed è alto circa 5 metri e mezzo. I suoi lati sono decorati con una singola colonna di iscrizioni. Non si sa come e quando fu trasportato dall’Egitto, ma è certo che a Roma fu collocato nei pressi del tempio di Iside. Cadde e rimase sepolto fino al 1665, quando venne accidentalmente rinvenuto da alcuni frati Domenicani che stavano gettando le fondamenta di un muro di recinzione del giardino della loro chiesa.
Alcuni ritengono che per creare il monumento, Bernini si sia ispirato a due fonti: la prima, uno dei monumenti della Villa dei Mostri a Bomarzo, altri sostengono che lo scultore prese spunto da un romanzo pubblicato alla fine del 1500 da Francesco Colonna, memore del simbolismo dei geroglifici egizi. La stele, infatti, dovrebbe rappresentare la saggezza divina che discende dalla mente forte rappresentata dall’elefante, come si legge anche nell’iscrizione sulla base, con l’avvertimento di Alessandro VII: “È necessaria una mente forte per sostenere una saggezza solida“.
Quanti anni ha l’elefantino di Piazza della Minerva?
L’obelisco egizio, risalente al IV secolo a.C., la sua cima raggiunge l’altezza da terra di 12,70 metri. In origine era ubicato nella città egiziana di Eliopoli. Come altre opere di questa località, ad esempio gli obelischi oggi del Pantheon, del Monumento ai caduti di Dogali e di Boboli a Firenze, sotto Domiziano fu trasportato a Roma per decorare il Tempio di Iside al Campo Marzio (Iseo Campense).
Il modello fu offerto da un elefantino portato in omaggio all’Urbe da Cristina di Svezia, convertitasi al cattolicesimo, ma segue un’iconografia mutuata dall’Hypnerotomachia Poliphili. Il simbolo dell’elefantenon si riferisce solo simbolicamente alla saggezza, ma sarebbe una forma di glorificazione di Alessandro VII. Si legge infatti, in un poemetto a lui contemporaneo: “L’obelisco egiziano, simbolo del sole, è portato dall’elefante al settimo Alessandro come un dono. Non è saggio l’animale? La Saggezza ha dato al mondo solamente te, o Alessandro, perciò tu hai i doni del Sole”.
Controversie storiche e significato del monumento
La tenuta statica del progetto di un elefante stiloforo fu storicamente al centro di una diatriba. Fu contestata dai domenicani del vicino convento (dove l’obelisco era stato trovato) secondo cui “nessun peso a piombo deve avere sotto di sé il vuoto, perché non sarebbe solido né durevole”. La versione più accreditata sosterrebbe che Bernini, conscio della sua lunga esperienza che lo aveva portato 16 anni prima aveva già realizzato la Fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona con un obelisco sistemato su una roccia vuota, avrebbe reagito a questa ingerenza con una beffa per deridere l’opinione controversa dei frati.
Stando a quanto racconta Quinto Settano nel suo celebre epigramma l’elefante volgerebbe le terga all’indietro come a voler rimarcare “frati domenicani, qui mi state”. La spiegazione sarebbe riferita proprio al modo con cui il Bernini architettò la statua: disegnà la statua in modo che voltasse le terga al convento degli ottusi frati, mentre la proboscide ne sottolineava la posizione irriverente e la coda, spostata sulla sinistra, ne accentuava l’intenzione offensiva.