La mafia è presente nei cantieri, continua a controllare il territorio e a lanciare segnali inequivocabili”. Questo succede in Sicilia, come conferma il segretario generale della Cgil di Palermo, Enzo Campo, all’indomani degli ennesimi furti e roghi nei cantieri, a dimostrazione che “che il taglieggiamento delle imprese è un fenomeno pressante, che va combattuto giorno per giorno”. E a Pomezia, Ardea e dintorni? Anche. Magari non succede tutti i giorni, ma esiste da anni, in maniera subdola e sotterranea. La differenza con la Sicilia? Lì viene ammesso che esiste l’estorsione, qui ancora no. Questo è il territorio in cui le persone sono ancora nella fase della negazione, quella in cui l’estorsore viene visto come “l’amico” che viene in aiuto per toglierci da guai in cui lui stesso ci ha messo.
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La nostra inchiesta
Per farvi capire meglio vogliamo raccontarvi una storia, quella di un imprenditore edile. Il cantiere è di quelli di pregio. Il materiale utilizzato è di prima qualità. I lavori sono iniziati da poco. I problemi pure. Procedono quasi di pari passo. Furti, danneggiamenti, intralci di vario tipo. All’inizio l’imprenditore – che chiameremo Antonio, nome di fantasia – non capisce il collegamento, ma gli episodi cominciano a diventare troppi per non essere sospetti.
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I danni sono enormi, sia in termini economici che a livello di ritardi temporali. I lavori vanno a rilento, sorgono problemi a catena. Ne parla con quello che pensava fosse un amico, un individuo che, casualmente, da quando Antonio ha aperto il cantiere ha stretto ancor più i contatti con l’imprenditore. “Tranquillo, ci penso io, so come aiutarti. Vedrai che non ti darà più fastidio nessuno”, gli risponde Salvatore (anche questo è un nome di fantasia, ndr). E, in effetti, da quel momento Antonio riesce a lavorare tranquillamente: il cantiere riprende senza intralci, le abitazioni vengono finite e messe in vendita.
Inizia l’incubo
Un giorno Salvatore si presenta nell’ufficio di Antonio. “Ho dei soldi da investire, vorrei prendere uno degli appartamenti che stai vendendo, quelli del nuovo cantiere. Magari mi fai un prezzo di favore”. Il costruttore, che non dimentica il “piacere” ricevuto, fa un notevole sconto sul costo dell’immobile. “Ti chiedo anche la rateizzazione dell’importo”, aggiunge Salvatore. Antonio, conoscendo l’elevato tenore di vita di Salvatore, si fida e acconsente, ancora grato (e forse anche un po’ succube) per il favore ricevuto nel momento del bisogno. Le prime rate vengono saldate, ma dopo un po’ i pagamenti si arrestano. Antonio chiede spiegazioni, ma soprattutto chiede il saldo. Riceve soltanto le prime: “Questo è il prezzo che tu dovevi pagare per il mio lavoro, quindi stiamo pari”. Quel “pari” vale 200 mila euro, quanto manca saldo dell’appartamento.
Il “lavoro” è la protezione ricevuta per la durata del cantiere, affinché i lavori potessero svolgersi senza altri intoppi fino al termine. Peccato che quegli stessi intoppi fossero provocati proprio da chi, poi, offriva protezione. In perfetto stile mafioso. O, se vogliamo, nello stesso stile che usava la malavita degli anni ’70. Questa non è una storiella inventata, ma una delle tante realtà che si nascondono nel territorio. Chi compie questi crimini veste, appunto, abiti firmati e va in giro con auto di lusso. Si atteggia a imprenditore di successo, quando invece spesso è solo proprietario di scatole cinesi o di cooperative create ad arte che attraverso un sistema di fatturazioni false riescono a dare l’impressione che ci sia un lavoro dietro al loro stile di vita.
Uno stile di vita dovuto invece all’estorsione, improntata tutta con lo stesso cliché: avvicinare un vero imprenditore, creargli un problema, dargli la soluzione, senza neanche fargli capire che, accettandola, ci si è consegnati a un vero e proprio “protettore”. In questo modo l’estorsore – e la sua famiglia – riesce a ottenere auto, gioielli, denaro e, come abbiamo visto, addirittura case e anche negozi. Di figure di questo tipo ce ne sono diverse, riconducibili alla mafia siciliana, a quella napoletana e a quella romana. Personaggi che hanno stretto contatti con la criminalità di alto (e di un altro…) livello, da cui hanno imparato come muoversi e operare.
La situazione ad Ardea e Pomezia
Guardando attentamente Pomezia e Ardea, non è un caso se questo territorio negli ultimi anni “prende fuoco” facilmente. Spesso dietro gli incendi c’è un “cerino” gettato ad arte per creare quel giusto mix di danno e paura necessario per richiedere la protezione o, al contrario, per punire chi non l’ha accettata. E ad andare a fuoco non sono solo le attività dei grandi imprenditori, ma anche piccoli negozi.
“Non ho mai ricevuto minacce e non ho idea di chi possa essere stato”, è poi quanto viene solitamente detto alle forze dell’ordine al momento dell’intervento. Perché il terrore delle ritorsioni il più delle volte è più forte di tutto, ma non denunciare significa finire in una spirale senza fondo. C’è la possibilità di farlo in modo protetto, senza alcun rischio, basta trovare la volontà. Chiunque voglia segnalare la sua storia in modo anonimo può farlo alla nostra redazione.
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