Ardea, è tempo di appalti. Il più importante – e sicuramente il più discusso e discutibile – è forse quello della gestione dei rifiuti, vinto dalla AM Tecnology srl (stavolta in Ati con la BLU WORK srl riconducibile a Caronti) che, guarda caso, appartiene alla stessa famiglia campana – per la precisione di Castellamare di Stabia – che gestisce anche L’Igiene Urbana, ovvero la società che si è occupata del servizio fino a questo momento. Ma il gruppo da essa gestito, formato non solo da queste due aziende, ma anche dalla Helios, è sotto il mirino del Noe di Roma, che nel 2018 e nel 2019 ha effettuato delle perquisizioni, con relative acquisizioni di atti all’interno sia della sede di Scafati, dove vengono gestiti gli appalti relativi ai rifiuti, che nelle abitazioni dei titolari, a Sant’Antonio Abate.
Perquisizioni che hanno avuto l’imput anche da Ardea, vedremo tra poco come. L’inchiesta è ancora in corso e c’è il massimo riserbo, non si conoscono le ipotesi di reato per le quali i due proprietari, A. A. e Daniele Manfuso, sono stati iscritti nel registro degli indagati. Quello che si sa è che l’indagine dei carabinieri è concentrata sul rapporto delle società con le amministrazioni locali dove hanno gestito gli appalti per la raccolta dei rifiuti urbani, circa una ventina, in cui AM Tecnology e L’Igiene Urbana si sono riunite in Ati, pur facendo parte dello stesso gruppo societario.
Da Il Corriere della Città – Ottobre 2020
La vicenda
Della vicenda parliamo con il sindaco di Ardea, Mario Savarese, con il quale facciamo un passo indietro nel tempo, ricostruendo i passaggi di questo appalto.
“Il capitolato tecnico era stato preparato dalla vecchia amministrazione quando l’assessore all’ambiente era il vicesindaco Anna Lucia Estero, affidato inizialmente a un ingegnere di loro fiducia. Poi volevano affidarne la gestione per la gestione alla Centrale Unica Appaltante di Anzio, ma alla fine si è optato, non senza polemiche, per Città Metropolitana. Quando siamo arrivati noi – spiega Savarese – c’era stata la transizione del Commissario Prefettizio, che aveva però fatto un piccolo guaio, concedendo una seconda proroga ‘Sine die’ dell’appalto (sia l’appalto in corso che la proroga erano già scadute ndr). Intanto Città Metropolitana inizia a lavorare sul bando piuttosto tardi, perché tutto viene dato a un gruppo che non aveva mai seguito appalti di questo genere; il tempo passa e non viene fuori nulla”.
I primi dubbi sul Capitolato
A questo punto ad Ardea c’è una nuova amministrazione, guidata appunto da Savarese, che guardando il capitolato inorridisce. A voler pensare male, potrebbe sembrare fatto apposta per far vincere qualcuno in particolare.
“Ci siamo consultati con Città Metropolitana, che ci fa capire che – secondo loro, il capitolato è fatto in maniera non accettabile. Tramite l’aiuto dell’ingegnere che aveva selezionato la vecchia amministrazione e con le indicazioni date da Città Metropolitana abbiamo modificato delle piccole cose. Ma, nonostante questo, l’appalto non veniva fuori. A un certo punto sono intervenuto pesantemente sul presidente del gruppo di lavoro, chiedendo quale fosse il problema. Anche questa volta mi è stato fatto notare che c’erano dei punti che non andavano bene in quanto originariamente fatto. Ho dato il mio benestare per tutte le modifiche necessarie affinché fosse reso regolare e arrivasse all’assegnazione”.
L’assegnazione dell’appalto
Si arriva quindi all’assegnazione, ma non è tutto rose e fiori, anzi… Ad Ardea il 1° ottobre viene nominato Vito Bruno Marino come nuovo dirigente dell’area tecnica, ma appena 3 mesi dopo si dimette. Sembrerebbe una delle tante “girandole” che avvengono in giunta, se non fosse che ci sono delle ripercussioni sull’appalto, perché Vito Bruno Marino, grazie al suo ruolo in Comune, si era proposto a Città Metropolitana come tecnico da sorteggiare per conformare la commissione. Viene sorteggiato e diventa il presidente della commissione.
“Abbiamo segnalato le sue dimissioni da Dirigente, in quanto teoricamente avrebbe dovuto perdere l’incarico, invece ci hanno detto che, visto che era stato sorteggiato ed essendo un tecnico, lo avrebbe mantenuto. Di lì a poco, quando abbiamo sentito che l’appalto è stato vinto da ATI AM Tecnology srl e da BLU WORK srl, riconducibile a Caronti, abbiamo fatto un salto dalla sedia, restando esterrefatti”.
Le indagini dei Carabinieri
La famiglia a cui si riconduce la ATI AM Tecnology srl, nel 2018 ha avuto la visita dei carabinieri del Noe che hanno perquisito gli uffici per studiare bene gli appalti e capire se tutto e regolare o se esiste una qualche forzatura nei vari capitolati che possa indirizzare la scelta della ditta vincitrice.
“Precisiamo una cosa: i Carabinieri sono andati lì dopo che io sono andato dappertutto”
In che senso?
“Dopo aver visto le troppe anomalie attorno a questo appalto, sono andato, e devo dire che ci hanno sempre ascoltato con attenzione, dai Carabinieri, dalla Finanza, al Tribunale di Velletri e persino alla Dia (Direzione Investigativa Antimafia, ndr). E non ci sono andato da solo, ma con tutta la Giunta, per denunciare questa situazione. Perché? Perché ancor prima che uscisse il capitolato tecnico, in piazza ad Ardea si vociferava chi avrebbe vinto”.
Può essere perché quel capitolato era stato confezionato ad arte per far vincere qualcuno in particolare?
“Può essere e può non essere, nel senso che – sebbene ci abbiamo rimesso pesantemente le mani –hanno vinto lo stesso. Noi abbiamo trovato delle anomalie, tipo una richiesta di forniture di apparecchiature costosissime e speciali, difficili da trovare sul mercato. Questo mi ha insospettito molto, e non solo a me. Abbiamo quindi preferito togliere quella parte di soldi e mettere le 31 ecostazioni su tutto il territorio, con badge e telecamere di sorveglianza”.
Non è strano che, a un anno e mezzo di distanza, ancora non sia stato rilasciato il certificato antimafia?
“La legge purtroppo è cambiata e non avere il certificato antimafia non è più una cosa così critica. Nel caso particolare dell’Igiene Urbana che ha gestito il servizio ad Ardea fino ad adesso non c’è mai stata un’espressione da parte del Tribunale che abbia detto ‘sì, sono mafiosi’, oppure ‘no, non sono mafiosi’. In questo caso, però, credo che la situazione sia ben diversa perché non si fa più riferimento a L’Igiene Urbana o alla famiglia a cui fa riferimento, ma a questa società nuova – AM Tecnology – la cui proprietà oltretutto è di un’altra società ancora, che non ha legami mafiosi. Questa è la risposta che io ebbi dalla DIA”.
Parliamo quindi di ‘scatole cinesi’?
“Si, parliamo proprio di ‘scatole cinesi’, fatte talmente bene che non si può fare niente, nonostante l’antimafia avesse indagato e conoscesse bene i soggetti. A Velletri invece non è stato fatto nulla. Il Procuratore di allora ci fece capire che non sarebbe intervenuto perché non c’era nessuna evidenza di reato. Ci siamo quindi dovuti rassegnare, puntando tutto su mettere dei paletti importanti sull’appalto stesso, cercando di far sì che abbia degli strumenti di controllo che ci consentano di intervenire ogni minima cosa che non funziona”
Come?
“Ad esempio con la risoluzione del contratto nel caso non vengano pagati regolarmente gli stipendi ai dipendenti, memori di quanto successo in passato con l’Igiene Urbana e di quanto sta succedendo con AM Tecnology in altri Comuni dove sta già lavorando, dove – appunto – non vengono pagati regolarmente gli stipendi ai dipendenti. Quindi, visto che con tutto il nostro impegno non siamo riusciti a impedire che vincessero le persone che si vociferava già da tempo, abbiamo almeno messo in campo tutti gli strumenti di controllo possibili, tant’è che abbiamo impegnato una somma quadrupla rispetto all’appalto precedente proprio riguardo ai controlli. Saranno impegnate 3 o 4 persone a tale scopo, che costantemente dovranno stare sul territorio a verificare la qualità del lavoro. Io non mi rassegno. Troppo spesso dietro ci sono la mafia, la camorra e gli interessi di partito di ‘signori’ che mettono bocca in questi appalti”.
In questo caso specifico, a quanto ammonta economicamente questo appalto?
“Complessivamente vale intorno ai 40 milioni di euro, ma nel prezzo non sono inclusi gli smaltimenti, che vanno gestiti dalla società. Se andiamo a guardare le entrate, si parla di circa 8-9 milioni l’anno”.
Secondo lei sono quindi stati fatti dei ‘favoritismi’ in fase di stesura dell’appalto?
“Tutti i miei sospetti li ho riportati, facendo nomi e cognomi di personaggi politici di Ardea e dei territori limitrofi, quando sono andato da carabinieri, finanza e magistrati a Velletri. Ho esposto un quadro lampante. Più di così non potevo fare”.
L’indagine dei Carabinieri e la perquisizione in Campania sono in un certo modo collegate all’operazione “Equilibri”, quella che aveva visto 34 persone coinvolte a vario titolo e che aveva portato in carcere, nel giugno 2019, esponenti della famiglia Fragalà. Uno dei filoni d’inchiesta punta infatti su Ardea e sui collegamenti tra la pubblica amministrazione e ‘il malaffare’. “Devo dire, con molta amarezza nel cuore – prosegue Savarese – che mi devo accontentare del fatto che ho comunque fatto di tutto per ottenere un ottimo servizio per la cittadinanza”.
Può anticiparci qualcosa?
“Per esempio la distribuzione dei mastelli con il codice r-feed, un codice personale che permette di identificare l’utente. Verranno dati solo a chi è in regola con i pagamenti. Il problema è che ad Ardea tanta gente è sconosciuta al ruolo Tari e più in generale all’ufficio dei tributi, quindi a loro il mastello non potrà essere dato. Ho un grande terrore, perché si aprono due prospettive: il cittadino onesto, che magari si vergogna di far sapere ai suoi vicini che fino a quel momento non ha pagato la tassa dei rifiuti, provvede a mettersi in regola; il cittadino meno onesto, invece, potrebbe decidere di gettare i rifiuti in strada, pur di non pagare il dovuto. Se non si iscrivono al ruolo Tari, c’è quindi il grande rischio che molte persone possano andare a buttare i loro rifiuti in giro”.