Prima le preghiere e i gesti di solidarietà, poi le minacce e i toni alterati. Tutto nel giro di pochi minuti, come racconta Giulia Gogali, giovane giornalista de Il Faro, che ieri durante la fiaccolata in ricordo delle tre vittime uccise domenica scorsa a Colle Romito è stata avvicinata da una donna che ha minacciato di picchiarla se avesse ripreso suo figlio. Le parole usate dalla signora sono state piuttosto pesanti. Ecco cosa racconta Giulia.
«Diversi i giornalisti presenti che scattavano foto e video alla massa. Io ero con il mio telefono in diretta sulla pagina Facebook de Il Faro Online, a fare il mio lavoro esattamente come i miei colleghi. Nel bel mezzo della veglia, a pochi passi dalla sparatoria, una donna da dietro mi viene incontro e con una “pacca” sulla spalla mi dice: “Ma tu hai chiesto a me il permesso per fare queste riprese?”. In barba al distanziamento di un metro la signora si avvicina ancora di più fino ad arrivare a pochi centimetri dal mio volto: “Se hai ripreso mio figlio ti porto in Tribunale”. In quel momento ero sola, giovane, unica giornalista donna: un bersaglio facile. Spaesata e arrabbiata non ho avuto neanche il tempo di rispondere a tono alla donna e a nulla è valso il tentativo di spiegare con gentilezza il mio ruolo e la natura delle riprese. “Ah è una diretta? Allora sono proprio curiosa, ora vado a vedere e se c’è mio figlio ti faccio un c** così. Ti tolgo tutto, sono ca*** tuoi, stai attenta”».
Giulia si spaventa e si agita, smette di riprendere, mentre gli altri giornalisti presenti (noi del Corriere della Città siamo arrivati sul posto pochi minuti dopo, ndr) sembrano non accorgersi di nulla, o quanto meno non intervengono. A intervenire sono invece i carabinieri, che tranquillizzano la cronista, mentre la signora si dilegua. Una scena di sicuro non bella, innanzi tutto perché si è mancato di rispetto alle vittime. Poi, perché si è mancato di rispetto a una persona che stava lavorando con professionalità e che sa che i minori non possono essere ripresi in viso senza il consenso dei genitori: se la signora avesse temuto che il figlio potesse comparire nel video, avrebbe potuto semplicemente chiedere con gentilezza che non fosse ripreso. Esprimiamo dunque tutta la nostra solidarietà a Giulia: non è possibile che venga impedito di lavorare liberamente, che si debba essere minacciati, costretti a interrompere il proprio reportage per paura di essere aggrediti, picchiati, denunciati, minacciati di querele al fine di togliere tutto, persino la casa ( e la denuncia di solito è il modo più rapido e “sottile” per cercare di azzittire un giornalista). Non certo la prima volta che accade, ad Ardea e non solo, e di sicuro non sarà l’ultima, per questo la stampa – tutta – in questi casi dovrebbe fare rete.