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Presunto caso di malasanità al Città di Aprilia: intervento di routine finisce in tragedia

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città aprilia

Morire a seguito di un intervento di routine. Per i familiari della Signora Daniela Anna Gabiati non ci sono dubbi: qualcuno ha sbagliato e per questo ora chiedono giustizia. Un caso di presunta malasanità insomma, sostengono i cari della donna, deceduta a causa di tutta una serie di complicazioni il 16 agosto 2017

«Ci siamo rivolti alla Clinica Città di Aprilia perché mia madre doveva fare un semplice intervento di routine (colecistectomia)», a parlare con noi è la figlia della signora Galbiati. Ci racconta l’incubo che ha vissuto, inoltrandoci la documentazione raccolta in quasi un anno.

«Subito dopo l’intervento le sue condizioni invece di migliorare si sono aggravate fino a portarla al decesso. Successivamente, dall’autopsia è emerso che la causa del decesso sarebbe stata una perforazione del duodeno avvenuta nel corso dell’intervento». Un errore (umano?) avvenuto durante l’operazione, ma anche una valutazione errata, con annessa mala gestio, nel monitorare e trattare le condizioni della donna, le ipotesi che i familiari, attraverso gli avvocati, stanno cercando di portare avanti. 

E’ qui, del resto, che si concentra il fulcro della vicenda. A seguito dell’operazione infatti le condizioni della signora, come visto, erano peggiorate progressivamente, al punto da disporne il trasferimento d’urgenza presso il nosocomio di Roma Sant’Eugenio «che avveniva – sostiene ora il marito della donna, il signor Carlo – nonostante il verificarsi di una crisi respiratoria sin dalle prime ore della mattina del giorno 26.07.2017, solo alle ore 20:42 del giorno 26.07.2017, ovvero due giorni dopo l’intervento».

Addirittura ci sarebbe stata perfino un’errata diagnosi nel presentare richiesta all’ospedale di Roma per il ricovero della donna: «Quando mia moglie è arrivata al reparto di rianimazione e terapia intensiva del Sant’Eugenio era ormai in stato di shock settico (sepsi) con valori per ben tre volte superiori a quelli normali, ma tale circostanza è stata scoperta solo successivamente ad una serie di accertamenti, giacché la Casa di Cura Città di Aprilia aveva disposto il trasferimento di mia moglie con la diagnosi di sospetta embolia e crisi polmonare».

L’arrivo al S. Eugenio

Continua il marito. «Il personale medico dell’ospedale Sant’Eugenio di Roma, invece, aveva immediatamente riscontrato e osservato che, contrariamente a quanto erroneamente riferito nella cartella clinica rilasciata dalla casa di cura “Città di Aprilia” : (…) il liquido presente nell’addome della paziente, evidenziato a seguito di t.a.c., non consisteva in una sostanza impiegata per il lavaggio post- operatorio, ma si trattava, in realtà, di presenza di bile che ha causato un’infezione peritonea che ha a sua volta dato origine ad un grave sepsi che ha gravemente danneggiato polmoni, fegato e reni (motivo per cui la paziente non era in grado di urinare dal giorno successivo all’operazione); la crisi respiratoria che ha colpito la sig.ra Gabiati non era conseguente ad un’embolia polmonare ovvero alla presenza di cibo nei polmoni, ma era, in realtà, conseguente proprio alla grave sepsi in atto (…)”.

Secondo il Dr. Alfonso Cirillo medico-chirurgo, specialista in medicina legale e delle assicurazioni specialista in medicina del lavoro, che ha redatto la consulenza medica di parte per la famiglia della signora deceduta «la causa della morte della Sig. Gabiati è da considerarsi in rapporto causale con la sepsi diffusa peritoneale e successiva complicanza con insufficienza multiorgano prodotta dalla perforazione del bulbo duodenale dovuto ad imperizia dei sanitari nel corso dell’intervento di colecistectomia videolaparoscopica».

La clinica Città di Aprilia avrebbe secondo questa tesi commesso però altri errori. «La condotta censurabile per imperizia degli stessi sanitari sono anche individuabili nell’inadeguata scelta della tecnica chirurgica (tecnica “closed” anziché della meno rischiosa “open”) nel non aver praticato test di prova per la verifica di eventuale pressurazione, nel mal posizionamento del drenaggio post chirurgico e nella mancata diagnosi della perforazione iatrogena. L’insieme degli errori e del ritardo diagnostico presso la casa di cura Città di Aprilia ha prodotto uno stato settico avanzato con gravi compromissioni delle condizioni generali della paziente che l’ha poi condotta all’exitus (…)»

La relazione del CTU nominato dal Tribunale di Latina

Tale presunta condotta negligente ed omissiva è stata accertata anche dal CTU nominato dal Tribunale di Latina nel corso del procedimento di accertamento tecnico preventivo, dott. Alfredo Cristiano, il quale ha potuto accertare, tra le altre, che ad Aprilia «non fu provveduto, nonostante i chiari segni della perforazione, a procedere ad intervento chirurgico in laparotomia esplorativa».

«Un diverso comportamento del personale sanitario – si legge nella relazione in possesso della nostra redazione – con esecuzione tempestiva avrebbe, con elevata probabilità, evitato l’insorgenza della sepsi e l’exitus». Non solo. Per il CTU la clinica dell’ospedale pontino era «dotata di attrezzatura idonea al l’esecuzione di una laparotomia e alla chiusura della perforazione duodenale».

Il marito non ha dubbi del resto: «É evidente che un diverso comportamento dei sanitari della Casa di Cura Città di Aprilia avrebbe evitato la morte della mia adorata moglie ed il vuoto oggi lasciato, ma questo non è avvenuto, nonostante avrebbe potuto essere evitato sin dalle prime ore successive all’intervento. Al contrario, mia moglie è stata “ignorata” ed ha patito 23 giorni di dolori e sofferenze indescrivibili fino alla morte».

«Ad oggi la mia famiglia non ha ricevuto alcuna scusa, anzi le preoccupazioni della Casa di Cura e dei sanitari sono esclusivamente quelle di evitare ogni forma di responsabilità, senza curarsi di aver cagionato la morte di una persona e senza preoccuparsi delle sofferenze inflitte alla sua famiglia».

 

 

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