Il 18 maggio, Giorgia, un esserino di circa un anno perdeva la vita perchè dimenticata in auto dal papà.
Questo è accaduto nella città di Pisa, ma non è il primo e ultimo caso del genere.
Capiamo come sia possibile una simile “distrazione” con Maria Tinto, psicoterapeuta e psicologa clinica, autrici di “I bambini non nascono cattivi”.
Giorgia era una bambina, una piccola persona di circa un anno. Si era appena affacciata alla vita, ma non ha avuto il tempo di poterla vivere la sua vita. Le è stata negata. Quando muore un bambino è un pezzo di tutti noi che viene a mancare, perché ogni bambino rappresenta il nostro futuro.
Giorgia non è morta per una malattia, in questo caso, sebbene il dolore è grande, ci si rassegna alla ineluttabilità degli eventi. No, la piccola Giorgia è morta perché “dimenticata” da qualche parte dal proprio genitore, ovvero, colui che l’aveva cercata, voluta, immaginata, desiderata e fatta nascere.
E’ impensabile che un genitore possa dimenticare un figlio da qualche parte, ancora di più se lo “dimentica” in macchina in un parcheggio. Dimenticando la vita si abbandonano i figli alla morte.
Ci sono casi di genitori che hanno lasciato intenzionalmente il figlio in macchina, per andare a fare la spesa o una “puntatina” alle slot machine o comunque per una commissione, sottovalutando i rischi per il bambino di ipertermia ( colpo di calore ), ignorando che bastano 20 minuti per far schizzare la temperatura a 50 gradi , anche se fuori dell’abitacolo ce ne sono solo 25, e senza considerare che un bimbo piccolo è più fragile al rialzo termico, per la minore superficie corporea e per il minore apporto idrico.
Poi ci sono i casi di coloro che invece di accompagnare il figlio all’asilo, lo dimenticano in automobile e se ne vanno al lavoro. Magari perché non l’avevano mai fatto prima, e ,quindi, non rientra nel solito percorso quotidiano, né nella programmazione giornaliera., ( il bambino non era in agenda ).
In tutti i casi è la responsabilità genitoriale ad essere sconfitta.
La mancanza di attenzione e di cura per l’infanzia è enorme. Poiché i figli dimenticati nelle macchine, a morire sotto il sole, sono le vittime dell’ultimo ventennio, viene da chiedersi come si è trasformata la famiglia in questi anni, se si tratta di uno sbandamento o di una trasformazione culturale ed etica che non trova più riscontro nell’identità formativa della famiglia. Se stiamo vivendo una vera sconfitta della famiglia, del suo senso etico di esistere e del “fare famiglia”.
Ogni volta che muore un bambino è sempre una disfatta della famiglia, specialmente quando avviene in un modo così irresponsabile. Fare appello alla tecnologia del seggiolino con i “sensori anti abbandono”, è un modo per delegare la responsabilità genitoriale. Paradossalmente si ha bisogno di qualcosa che ci ricorda nostro figlio. Un paradosso dei nostri tempi, ancora una volta il modello delegante arriva in aiuto, e la “stampella” per fare il genitore, sarebbe, in questo caso, un campanello elettronico.
Porto personalmente avanti una battaglia affinché ad ogni bambino venga riconosciuta la dignità di persona, un riconoscimento che inizia già quando nei futuri genitori comincia a nascere l’idea di avere un figlio. Riflettendo sul fatto che la cura e l’attenzione verso le persone , nascono dall’interesse e dalla motivazione.
Avere un figlio non vuol dire occuparsi solo delle sue esigenze nutritive, ma un figlio ha bisogno di un nutrimento che va oltre gli omogeneizzati, le pappine, le scarpe ed i vestiti, oltre l’asilo alla moda, un bambino ha bisogno di attenzione, di cura, di esclusività e di indispensabilità.
Anche se un genitore è amorevole e si prende cura del figlio, quando mancano le caratteristiche dell’esclusività e dell’indispensabilità possono succedere tragedie immani.
Trattandosi di fatto atroci, in qualche modo cerchiamo di dare una spiegazione che non possa ledere l’opinione che ciascuno ha di se stesso, “Occasionale distrazione”? “Amnesia dissociativa”? “ A tutti può succedere”, sono solo modi per delegare, ed è proprio il modello di famiglia delegante quello che bisogna combattere.
Un figlio desiderato e accolto fa parte della propria vita, è impensabile considerarlo un qualcosa a sé stante, tanto più che nella prima infanzia ha più bisogno delle cure dell’adulto per sopravvivere.
Questo un bambino lo sa bene, perché lo percepisce attraverso i sensori della sopravvivenza, ma quello che non sa è che anche colui o colei che lo hanno messo al mondo possono poi abbandonarlo alla morte.”
Maria Tinto è Psicologa Clinica e Psicoterapeuta, Autrice di “I Bambini non nascono cattivi” – Premio Letterario Autori Italiani 2017.
Marina Cozzo