E’ passato qualche anno, dall’ultima volta che vidi il reduce di El Alamein Santo Pelliccia. Lo intervistai nel 2015. Un uomo di piccola statura con la sua leggendaria divisa coloniale da deserto, che raccontava di aver partecipato ad una delle più sanguinose e cruente battaglie, che cambiarono il corso della storia. Santo, sopravvissuto ad El Alamein, è uno dei 300 soldati, su 5000 scampati alla morte. Gli anni per i bambini e per gli anziani passano diversamente. A distanza di non molto tempo, Santo non cammina più, né come dice lui può volare, come faceva un tempo con il suo paracadute ed è ricoverato presso il Policlinico militare di Anzio, nel reparto dei pazienti a lunga degenza. I suoi occhi sono stanchi e guardano il volo degli uccelli nel giardino dell’ospedale. Oggi era triste per ricordare ancora il suo passato, crede di dover andare via di nuovo dal posto in cui si trova. Non ne vuole più sapere di spostarsi, ormai nella sua stanza ha tutto ciò che li serve, la sua divisa, le sue foto ed i suoi ricordi. Ma noi ricordiamo bene chi é. Santo Pelliccia, Classe 1923 originario di Castelnuovo di Napoli, si arruolò come volontario a poco più di 17 anni nell’Esercito. Successivamente fu prescelto per la Regia Scuola di Paracadutismo di Tarquinia, dove consegui il suo brevetto nell’ottobre del 1941. Da lì inizierà la sua carriera militare, in uno dei più grandi corpi d’élite italiani, quello dei paracadutisti della Folgore che furono impegnati nel teatro di guerra tra il 23 ottobre e il 4 novembre del 1942, ad El Alamein. Privi di rifornimenti e di uomini, riuscirono a fronteggiare uno degli eserciti più potenti del mondo, l’esercito inglese, che vinse per la notevole quantità numerica di mezzi e di soldati, sulla divisione, che meritò per il coraggio ed il sacrificio gli onori del nemico. I resti dei soldati italiani, impiegati in questa triste battaglia sono ancora dispersi nel deserto, ma non nella memoria, l’epigrafe in loro ricordo riporta: “Mancò la fortuna ma non il valore”.
Il reduce Pelliccia, ha sempre definito i suoi commilitoni come soldati con le “stellette” sul bavero e non come “fasci di combattimento”, di conseguenza tenuti a rispettare gli ordini. Un suo grande rammarico è quello di come siano stati ignorati, dalle istituzioni al loro rientro in Italia. Nel dopoguerra si trasferì a Nettuno, dove prese servizio nella Polizia di Stato fino al 1983.
Santo com’è stata la tua vita?
“La vita è stata tutta bella, l’ho goduta veramente. Adesso è finita, è finita male.”
Perché cosa vorresti per essere felice?
“Vorrei vivere, vivere libero, poter fare quello che voglio, ma non è più possibile. Mi portano dentro, mi portano fuori, mi portano a mangiare, non comando più niente.”
Santo, nel corso degli anni da buon soldato, non ha mai smesso di partecipare a manifestazioni ed eventi, portando con fierezza la sua divisa e la sua testimonianza. Nonostante la tristezza di oggi e l’incertezza del futuro, sta pensando di partecipare alla prossima festa annuale della Brigata Folgore, alla quale presiede tutti gli anni, come ospite d’onore. Stanco nel corpo ma non nella mente, Santo Pelliccia continua ad essere oggi una testimonianza diretta di una pagina di storia, che ha visto soccombere, sotto il fuoco di una guerra assurda, migliaia di soldati italiani.