Questa è la cronaca di una morte annunciata, o quantomeno di una morte che – molto probabilmente – poteva essere evitata. Perché sul decesso di Antonio (nome di fantasia), anziano deceduto dopo un soggiorno di circa un anno e mezzo in una co-housing del litorale romano ci sono davvero molti, troppi dubbi. A iniziare dal come e perché sia finito lì. Per poi passare da come mai non potesse comunicare con parenti e amici. Per poi finire con i motivi della sua morte, sui quali sarà la magistratura a fare chiarezza.
Ma partiamo dall’inizio. Antonio e la moglie vivono ad Anzio, in un villino che fa parte di un piccolo comprensorio. Tra vicini si conoscono bene e questi due anziani si fanno amare da tutti: sono diventati i “nonni” dell’intera via. Li vedono fragili, lei malata terminale, lui un po’ orso ma in realtà buono come il pane e ingenuo come un bambino, tanto da non riconoscere i pericoli né gli inganni. Lei è straniera, lui viene dal Nord Italia. Qui non hanno parenti, anche perché sono entrambi figli unici. E i vicini li “adottano”. La donna nel maggio del 2021 muore. E tutti si stringono attorno ad Antonio, in un cordone protettivo che diventa quella famiglia che al momento non ha vicino. Ma Antonio sente troppo la mancanza della sua compagna e ha un tracollo. Era già segnato in precedenza e le sue fragilità psichiche emergono prepotentemente.
Contromano sulla Pontina
L’uomo comincia a trascurarsi, a mangiare male, nutrendosi solo di cibi preconfezionati o di yogurt. Dimentica di cambiarsi, di pulire la casa. Nonostante non abbia il mutuo da pagare e prenda una buona pensione, si rifiuta di far venire una persona per le pulizie in casa, dove insieme a lui c’è anche un cagnolino. E i cattivi odori iniziano a sentirsi anche da fuori. I vicini sono sempre più preoccupati, cercano di aiutarlo in tutti i modi, senza però riuscirci. Vengono allertati anche i servizi sociali, perché Antonio, per dimenticare il dolore, a volte lo annega nell’alcol, cosa che non aveva mai fatto prima. Viene avviato l’iter per avere un amministratore di sostegno da parte della Asl: l’anziano non può più stare da solo. Ma i tempi, avvisano, sono lunghi: dai 3 ai 6 mesi.
Ma la cosa peggiore è che spesso l’uomo è in stato confusionale. Antonio non è vecchio, ha solo 70 anni. Sembra essere in un mondo tutto suo, dove forse è con la sua compagna, di cui non ha mai accettato la perdita. Una volta rimane chiuso fuori casa, un’altra si lacera una mano e i medici devono ricucirgliela con diversi punti di sutura. A luglio va ancora in giro con i maglioni invernali. Ma c’è di peggio. Siamo arrivati al 9 agosto del 2021. Prende la sua macchina ed esce di casa, senza dire niente a nessuno. Lo ritrovano sulla Pontina, all’altezza di Aprilia. Stava guidando contromano. Aveva percorso un lungo tratto della SS 148 senza rendersi conto di essere sulla carreggiata sbagliata, mentre tutti gli suonavano per avvertirlo del pericolo. La polizia ferma, lo porta in salvo. E poi in ospedale.
Iniziale demenza
E lì, durante il ricovero al pronto soccorso, ad Antonio viene diagnosticata un’iniziale demenza, da confermare attraverso indagini specialistiche, ovvero con ulteriori controlli presso strutture appropriate. Viene specificato che Antonio non è una persona capace di provvedere in autonomia ai propri bisogni e per questo per lui non ci sono gravi ripercussioni penali per quanto fatto sulla Pontina. Antonio poi viene ricoverato e resta diversi giorni in ospedale. Ma quando torna a casa le sue condizioni sono peggiori rispetto a quelle precedenti al ricovero, tanto che lui stesso dice a tutti di stare male e di voler tornare in ospedale.
Viene chiamata l’ambulanza più volte e una di queste viene anche tentato un TSO, senza esito, anche se Antonio non è più in grado di rendersi perfettamente conto della realtà, ma ha bisogno di un serio aiuto. Non sa utilizzare il bancomat, non riesce più a guidare, non si prende cura di sé stesso. I rischi che qualcuno si approfitti di lui sono altissimi, così come quelli che si ammali e non riesca a curarsi. È diventato fragilissimo e nei momenti di lucidità si rende conto di questa fragilità, tanto da chiedere di essere ricoverato. Al successivo rientro in ospedale viene trovato disidratato. Resta nella struttura sanitaria pubblica per 10 giorni, poi viene trasferito in una clinica.
L’uomo doveva essere portato in una RSA
Passano alcune settimane e Antonio non può più restare nella clinica. Serve una soluzione a lungo termine e questo non è il posto giusto. Ma prima di essere dimesso, visto il 70enne ha bisogno di assistenza, viene stilato un verbale in cui vengono fissati dei punti ben precisi, che stabiliscono che Antonio necessita di un ricovero in una RSA. Ripetiamo: RSA, ovvero “una struttura sociosanitaria residenziale dedicata ad anziani non autosufficienti che necessitano di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa a tempo pieno”. Ecco quali sono i punti evidenziati nella relazione. “Considerato che il signor Antonio è privo di una rete familiare e amicale che lo possa supportare, non appare in grado di poter occuparsi autonomamente dei propri interessi o necessità. Necessita di un supporto volto a individuare un idoneo progetto di vita avendo cura degli aspetti amministrativi, personali e amministrativi. Non è auspicabile un suo rientro a casa stante le sue condizioni di salute. Dal colloquio effettuato (con gli assistenti sociali, ndr) sono emerse le fragilità di Antonio, dovute all’assenza di una rete personale, parentale e/o amicale di supporto. Il signor Antonio percepisce una pensione di lavoratore dipendente e si ritiene opportuno che: in collaborazione con il servizio sociale in attuazione del progetto di aiuto in suo favore in collaborazione con una struttura di ricovero, gestione della situazione economico-finanziaria con relativo disbrigo delle pratiche burocratiche e supporto per eventuale richiesta di invalidità civile”.
Perché una persona malata finisce in una co-housing?
Nel documento viene specificato che dalla struttura dove è ricoverato Antonio verrà presto dimesso, per “un inserimento presso una RSA del territorio“. Invece Antonio, non si sa come, finisce in una co-housing. Ma la cosa peggiore è che, non appena entra in questo posto, è come se di lui si perdesse ogni traccia. Nessuno sa più niente di lui. Contrariamente a quanto succedeva fino a quando era in ospedale e in clinica, Antonio non risponde più al telefono a chi lo cerca e si preoccupa per lui. Perché Antonio, anche se non ha parenti in zona, ha persone che gli vogliono bene e lo cercano. In seguito il suo numero di telefono diventa dapprima irraggiungibile, poi, dopo qualche tempo, risponde un’altra persona, che dice addirittura di non sapere chi sia Antonio.
Ormai è quasi Natale. Sono proprio le persone che vogliono bene ad Antonio che, insospettite dal suo silenzio e ancor più dalla reticenza di chi gestisce la casa nel non voler dare notizie sulla sua salute, che decidono di andarlo a trovare, per fargli gli auguri. Ma anche in questo caso trovano un muro di gomma. Attraverso un messaggio viene riferito che è stato trasferito altrove, senza specificare dove. Solo dopo tanti tentativi arriva una risposta alquanto criptica, che avverte che Antonio è stato portato in una struttura protetta, neanche fosse un collaboratore di giustizia o qualcuno che stesse fuggendo da un pericolo imminente. Ma nessuna informazione sul suo stato di salute, perché “non siete parenti”.
La “visita” in casa
Ma la storia non finisce qui. Mentre Antonio è ricoverato qualcuno si reca nella sua abitazione, almeno due volte. Le telecamere di videosorveglianza riprendono la scena e si vedono, in uno di questi due episodi, avvenuto a marzo del 2022, due donne e due uomini entrare con le chiavi nell’appartamento di Antonio e uscire con diverse cose dopo un po’ di tempo. Ai carabinieri risulta una chiamata per furto in atto. I vicini di casa si allarmano, escono fuori, provano a fermare le persone, chiedendo cosa stanno facendo a casa di Antonio e intimando di riposare quello che avevano preso.
Ma loro non desistono, dicono di essere autorizzati, una delle donne sostiene di essere la tutrice di Antonio. Gli animi si scaldano sempre di più, ma visto che i carabinieri ancora non arrivano, alla fine i quattro riescono ad andare via. Dall’inventario fatto in seguito sembrerebbero mancare almeno un computer, un televisore e un cellulare, mentre la cassaforte, che conteneva soldi in contanti e delle preziose monete da collezione dal valore elevatissimo, è stata trovata vuota. Saranno gli inquirenti a dover stabilire chi ha prelevato queste cose, quando e a che titolo.
La morte di Antonio
Passano alcuni mesi, ma di Antonio si continua a non sapere nulla, nonostante i ripetuti tentativi. Fino a quando le sue condizioni di salute non peggiorano al punto da aver bisogno di un ricovero urgente presso il una casa di cura, sempre sul litorale romano. Qui i medici tentano di tutto per salvargli la vita, ma dopo appena 9 giorni, il 27 gennaio 2023, Antonio muore. Senza avere nessun amico o parente accanto, ma solo i medici che fino a quel momento avevano provato a salvarlo.
Della sua morte pare che neanche i parenti a Torino sappiano nulla per diversi giorni: lo avrebbero scoperto solo il 3 febbraio, per puro caso. Nessuno, dalla co-housing, avrebbe avvisato che Antonio stava male, che si era aggravato. Che le sue condizioni erano tali da rischiare la morte, come poi è stato. Adesso Antonio non c’è più. Ma non è stato dimenticato. Come è possibile che un anziano non autonomo possa essere finito in una co-housing dove, di norma, devono invece stare persone autosufficienti? Chi si prendeva cura di lui, prima del ricovero? In che modo? C’era un piano terapeutico che stava seguendo, un medico che lo seguiva? Qualcuno che gli dava delle medicine? Di cosa è morto Antonio? Tutte domande al momento senza risposta, ma a cui qualcuno, prima o poi, dovrà rispondere. Per onorare la memoria di Antonio e dare sollievo a chi gli ha voluto bene.