Quattro pagine che fanno risultare il Comune di Anzio come un luogo dove gli esponenti della criminalità di stampo mafioso potevano muoversi a loro piacimento. La relazione del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella non lascia ombre di dubbio. Ma apre scenari inquietanti. Il Ministro, infatti, facendo riferimento all’operazione Tritone, che lo scorso febbraio portò all’arresto di 65 persone da parte dei Carabinieri del Comando Provinciale di Roma, ha evidenziato l’esistenza “di una fitta trama di relazioni tra consorterie criminali e amministrazione locale“.
A queste si aggiungono i tentativi di ingerenza delle organizzazioni malavitose nel corso delle elezioni del 2018, che portarono alla vittoria del centrodestra, “e la pretesa di alcuni esponenti della consorteria criminale di ottenere l’affidamento di appalti sia in via diretta che attraverso procedure pilotate“. Il ministro non fa i nomi, ma – andando a rivedere le intercettazioni e guardando la vita di Anzio – è facile intuirli. Si parla del vicesindaco, di assessori, di consiglieri, ma anche di impiegati comunali posizionati strategicamente. Ecco quindi le motivazioni che hanno portato allo scioglimento del Comune di Anzio per infiltrazioni mafiose.
Appalti in cambio dei voti
Piantedosi, che conosce bene la situazione, avendo letto e stilato la relazione in doppia veste – prima in qualità di Prefetto di Roma, poi come Ministro dell’Interno – è chiarissimo nell’esporre al Presidente della Repubblica i fatti. Nella relazione “si dà atto della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso“. Collegamenti emersi “in modo indiretto anche con il sindaco di Anzio“. Ma, ancor più chiaramente, sono emersi dati “che fanno desumere l’esistenza di uno stabile rapporto personale e di interesse tra alcuni componenti la Giunta Comunale – tra cui il vicesindaco e alcuni ex assessori e dipendenti comunali – ed esponenti di rilievo del locale clan mafioso, che hanno assicurato ad alcuni di loro sostegno elettorale in cambio di appalti”.
Affidamento a lavori già avviati
La relazione prefettizia sottolinea che la “rilevata situazione di compromissione dell’amministrazione comunale” ha trovato facile appiglio nella “condizione generale di assenza di regole“. Si parla di una gestione improntata su “criteri di mera conoscenza personale e clientelari”, “ove in molti casi la documentazione di istruttoria e di affidamento viene redatta solo a lavori già avviati“. Un ribaltamento dei ruoli tra committente ed esecutore dei lavori, insomma. Cosa che ha favorito la commistione di interessi leciti e illeciti tra l’ente locale e la criminalità organizzata.
E poi ancora le frequentazioni di alcuni consiglieri o ex amministratori, tra cui uno, destinatario di un prestito datogli da un esponente della ‘Ndrangheta, oltretutto da lui definito, nel corso di una trasmissione televisiva, come “modello di famiglia”.
L’appalto dei rifiuti
La relazione mette in evidenza gli elementi indiziari degli appoggi elettorali ricevuti dalla compagine che, nel 2018, è riuscita a vincere le elezioni. “Si evincono numerosi nominativi riconducibili al contesto criminale“, si legge nel documento. E tra i sottoscrittori, “una quota maggioritaria è costituita da soggetti aventi precedenti penali di una certa gravità, oppure frequentazioni o rapporti parentali con le famiglie ‘ndraghetiste insediatesi ad Anzio“. Ma non solo. Tra i firmatari ci sono numerosi dipendenti di una ditta già affidataria del servizio di raccolta dei rifiuti.
“Da ciò si deduce – sostiene il Ministro – che il sostegno elettorale ricevuto dall’amministrazione (anche a favore del vice sindaco e di un assessore) sia sintomatico di un coacervo di interessi“. L’appoggio, prosegue il Ministro, sarebbe stato dato in cambio di “commesse pubbliche nonché affermazione sociale dell’associazione criminale“. Il settore dei rifiuti, come detto, era uno dei principali affari. Piantedosi parla di esiti ispettivi, suffragati da intercettazioni ambientali e da recenti indagini, che hanno dimostrato la “sussistenza di rapporti anomala contiguità tra membri apicali del clan e ‘ndraghetista e taluni dipendenti” delle imprese affidatarie, “molti dei quali erano sottoscrittori della lista risultata vincitrice alle ultime elezioni“. Parliamo di una società – quella che gestisce il servizio – che risulta essere legata, si legge ancora nella relazione, “contiguo agli ambienti della criminalità camorrista“. Perché questo affidamento, visto che su questa ditta c’è l’ombra di un’interdittiva antimafia? Nella relazione si fa riferimento anche a una società consortile, riconducibile a un consigliere comunale e affidataria di appalti alle cui dipendenze vi sono persone con stretti rapporti parentali con noti esponenti della camorra.
Il Porto, il grande affare
Uno dei grandi affari ad Anzio è sicuramente il Porto, gestito dalla Capo d’Anzio. Il suo valore si aggira sui 30 milioni di euro, se non di più. Ma basterebbe far chiudere in passivo i conti della Società ed ecco che si potrebbe acquisire a cifre di gran lunga inferiori a quello che sono il suo valore reale. E questo le mafie lo hanno sempre saputo. Nella sua relazione, il Ministro parla infatti di “interferenze e condizionamenti nelle scelte amministrative nel settore delle concessioni demaniali delle infrastrutture portuali gestite dal Comune tramite una società controllata“. Un tratto di molo è occupato “sine titulo” da un soggetto, determinando così il mancato introito per l’amministrazione dei canoni di ormeggio, parcheggio e aree a terra, “agevolando il protrarsi di attività abusive gestite dal predetto esponente mafioso“, scrive il Ministro.
In più, le aree di parcheggio sono state sottratte alla partecipata comunale e dati gratuitamente a soggetti privati per diversi anni, con conseguente danno per le casse del Comune. Andando a guardare le concessioni, poi, sono solo autocertificazioni. Mancano le certificazioni antimafia relative ai concessionari. E, come si evince dai controlli fatti a campione sugli assetti societari di concessione balneare o di ristorazione, “è stata confermata l’esistenza di rilevanti elementi di collegamento tra queste attività con soggetti continui alla criminalità organizzata e in altri casi la cointeressenza economica di prossimi congiunti di alcuni amministratori locali“. In pratica, o erano legati alla malavita, o erano legati alla politica.
Autorizzazioni ad hoc
Non finisce qui. Sempre al porto, ci si faceva le leggi da soli, finalizzate al guadagno. La relazione parla di una deliberazione fatta dalla Giunta nel settembre 2017, con la quale viene temporaneamente autorizzata ai chioschi di vendita di giornali anche la somministrazione di alimenti. Il valore di questi chioschi, ovviamente, aumenta a dismisura. Di contro, il valore degli esercizi commerciali di alimenti e bevande viene danneggiato. Infatti la delibera, come dichiara il Prefetto, è una violazione di legge. Ma vediamo perché è stata fatta.
Nell’aprile del 2018 una di queste licenze viene acquisita in subingresso da un parente di una assessora comunale. Piantedosi non fa nomi, ma si deduce chiaramente quale sia la persona, attualmente candidata per un posto in Regione Lazio come consigliera. Dopo circa un anno, la licenza del chiosco beneficiario di questa delibera viene venduta a un prezzo di gran lunga maggiore, quindi con molto profitto rispetto all’investimento iniziale. Ma chi è l’acquirente? Una società il cui socio di maggioranza risulta avere rapporti di parentela con un soggetto notoriamente inserito nel contesto criminale locale. La licenza viene poi data in gestione a un’altra persona, che a sua volta ha stretti legami con “partecipe di primo piano” dell’organizzazione ‘ndraghetista di Anzio, tanto che viene anche lui colpito da ordinanza cautelare lo scorso febbraio.
Dallo sport… alle fogne
Ad Anzio quasi ogni settore vedeva le mani oscure della mafia. E lo sport non si salvava di certo. In particolare, un impianto sportivo comunale era stato dato in gestione a una società dilettantistica che, negli anni, aveva accumulato un debito consistente nei confronti del Comune. Ma il Comune non ha mai revocato l’affidamento. Il gestore, invece di pagare, ha fuso la società con un’altra, assumendo una nuova denominazione e richiedendo il subentro al Comune. Nonostante la continuità amministrativa e il debito pregresso, il Comune ha rinnovato la concessione. E il gestore ha continuato a usufruire del bene, senza averne titolo e senza saldare il debito precedente. Si scopre che tra le cariche direttive c’è anche un consigliere comunale, convivente con un soggetto di caratura criminale. Che sia questo il motivo?
Si passa poi, per concludere, alle fognature. Quelle vere. Perché finora abbiamo parlato di quelle metaforiche. Anche nell’affidamento diretto di alcuni lavori di spurgo sono stati rilevati, secondo la relazione, rapporti tra alcuni amministratori ed esponenti mafiosi. Sono stati documentati ripetuti incontri tra un ex assessore e alcuni dipendenti comunali, oltre a un dipendente comunale.
“…gli dici mandami l’autospurgo, aspetti lì mezz’ora e arriva l’autospurgo. Dai pure un servizio al cliente ‘ndo stai. Senno dovrei chiamare io l’Acqua Latina… tutta una trafila…”, si legge nelle intercettazioni tra Davide Perronace e lo zio Domenico. Anche un’altra ditta riconducibile alla stessa famiglia mafiosa, nel 2019, è stata destinataria di ripetuti affidamenti diretti. Per averli senza destare troppi sospetti si ricorreva anche al frazionamento dei lavori, in modo da non dover ricorrere al mercato elettronico della pubblica amministrazione e sottrarsi ai controlli. In più, venivano pagati per intero lavori non terminati, a discapito dei cittadini.
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